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La sveglia suonò che ero già sveglio. Erano già cinque minuti buoni che fissavo quel dannato aggeggio.
L'avevo comprata in un sobborgo di New Soho, niente di speciale ma ne andavo particolarmente fiero. Andava ancora con le pile alcaline, era una sveglia vecchia di almeno vent'anni, una di quelle classiche, con le lancette e quell'odioso ticchettio che nei momentini silenzio sembra avere dietro un megafono. Il telaio era di un giallo vivo, come le piume di un pappagallo dell'amazzonia di una spogliarellista brasiliana, mentre all'interno del quadrante, che però era rotondo, su uno sfondo bianco vi era una ragazza prorompente in costume da bagno.
Il pezzo sotto era probabilmente un filo di nylon, tanto che più di una volta ho dovuto faticare per immaginarmela vestita. Ma il pezzo sopra era la parte del corpo più strabiliante.
No, non intendevo gli occhi, a meno che non abbiate in mente due occhi grandi come due angurie belle mature e coperte da due mini stelline.
Attendevo con ansia che suonasse la sveglia, stava a significare che era arrivato il nuovo giorno, quindi le stelle scomparivano magicamente. Nonostante ce l'avessi ormai da più di un anno, forse anche due, quel lieto evento mi emozionava sempre come la prima volta... un gran bel paio di occhi devo proprio ammetterlo.
Accanto alla sveglia, sul comò in PVC ricoperto di un sottile laminato di legno color ebano, la pistola era pronta insieme al caricatore. Li tenevo separati non tanto per la paura che partisse un colpo, quanto perchè nell'immaginarsi una scena in cui mi dovessi svegliare e caricare la pistola il momento del caricamento farebbe molto Ispettore Callaghan. Era una Newman del 2015, ancora in perfette condizioni. L'unica volta che si è inceppata fu quando mi mandarono al laboratorio della Masuki Lab per eliminare il mutante deviato sessualmente a causa delle radiazioni. Il mutante era riuscito a scappare, ma qualche volta mi scrive ancora un'email o mi manda un ‘ologramma ricordandomi quanto gli sia piaciuta la serata, peccato non poter ricambiare la cortesia... d'altronde l'ispettore Trevis me l'aveva detto al primo giorno di lavoro al quarantaduesimo distretto. "In questo lavoro rischierete ogni giorno, ogni singolo istante della vostra vita  di prenderlo nel culo"... Quanto aveva ragione quel sfottuto bastardo... mi ricordo anche come rideva quando mi trovò in quelle condizioni... poi però diedi il suo indirizzo al mutante.... Ora sono già due annetti che è sempre cupo e cammina veramente in modo strano...
Ma in fondo questo è il lavoro dello sbirro, forse il più odiato dopo quello dell'arbitro...ma qualcuno deve pur farlo.
Facevo parte di una squadra speciale del quinto distretto di Kalifornia City. Ci chiamavano "gli Eliminatori", e mai un nome poteva essere tanto azzeccato. Ci chiamavano quando in città c'erano da fare dei lavori sporchi, più o meno dieci volte al giorno quindi...
Quando bisognava ripulire un nascondiglio di narco trafficanti ispanici, quando bisognava "educare" i membri di una banda nei quartieri poveri, quando bisognava far scomparire magicamente il boss di una famiglia, li entravamo in azione noi.
Vestivamo tutti in borghese e ci trovavamo sempre nel pub Venus della diciannovesima strada. Una birra e qualche paio di tette ci consolavano e intrattenevano durante l'attesa di una chiamata da parte dell'ispettore.
Mi alzai e feci colazione. Come il mio più grande idolo presi caffè e coca cola....lo so fa schifo, ma il chinotto era finito.
Misi su i miei pantaloni neri di pelle, gli anfibi, la camicia e l'impermeabile, tutti  dello stesso colore; nel mio mestiere riuscire a nascondersi era molto importante e il colore del mio vestiario mi aveva salvato il culo già un bel po' di volte...tranne ovviamente quella volta ai laboratori Mosaku. L'unico inconveniente era sembrare che ogni giorno dovessi andare a un funerale...ogni giorno la vecchia portinaia mi faceva le condoglianze per qualcuno.
Uscii di casa e presi la metro. Non avevo la macchina per tre motivi: uno non ho la patente, due Kalifornia City ha i migliori mezzi pubblici sulla faccia della terra, tre se l'avessi avuta me l'avrebbero già rubata. La mia fermata era la sesta, Diciannovesima Strada/ Cattedrale di Saint Joan. Durante il breve tragitto guardai annoiato gli ologrammi pubblicitari. Prima vi erano dei semplici monitor al plasma, ma erano troppo facili da rompere cosi li cambiarono su tutti i treni.
Scesi finalmente dopo aver promesso a me stesso di comprare quelle mutande zebrate della pubblicità e dopo un centinaio di metri arrivai finalmente a destinazione.
Nel locale non c'era quasi nessuno, giusto qualche alcolizzato al bancone  e due spettatori che ammiravano Cindy La Profonda mentre faceva un gioco di magia, far sparire  due bottiglie di birra da sessantasei centilitri. Le bottiglia erano una sopra l'altra... grande donna Cindy... si dice in giro che l'ultimo con cui ha fatto sesso sia scomparso in chissà quale dimensione parallela...
Al solito posto trovai i miei colleghi. James, Sonya e Arthur.
James era un armadio a sei ante, pelato e vestiva sempre con canottiera bianca e jeans con il cavallo basso, in perfetto Hispanic Style. Lui era il nostro aggancio con il mondo dei quartieri ispanici. Se succedeva qualcosa nella zona messicana lui era il primo a saperlo, in cambio i suoi informatori erano liberi di gestire i loro piccoli traffici di erba e cocaina.
Sonya era la nostra eliminatrice migliore. Il suo corpo era l'arma migliore che potesse avere. Bella, alta un metro e ottanta, mora, la quarta di reggiseno e un culo che parlava, fortunatamente non la stessa lingua del culo di James. Decine di boss sono caduti a terra sgozzati pochi istanti prima di poter assaggiare il suo frutto proibito.
Arthur era lo specialista delle demolizioni. Quando c'erano dei lavori di fino si limitava a fare l'autista, quando invece si metteva a lavoro di solito si svolgevano dei funerali con bare vuote. Nonostante usasse il più potente esplosivo in circolazione, un miscuglio tra nitroglicerina e fosfato di azoto, Arthur sembrava paradossalmente un chirurgo nel suo lavoro, moriva solo chi decideva lui.
Arthur era un afro americano, l'unico di colore della squadra, ma questo non ci aveva mai messo in imbarazzo, anche perchè all'ultimo che aveva osato chiamarlo "negro" prima di andare a trovarlo telefonò alle pompe funebri per prenotare una bara... è sempre stato gentile e altruista verso tutti quelli che lo trattavano male per il colore della sua pelle.
Mancava all'appello Bob, il più solitario. Non parlava molto, ma era sicuramente uno dei più validi uomini del distretto e della squadra. Pochi anni fa era arrivato ad essere vice ispettore, poi fu declassato a causa di un'accusa di corruzione, probabilmente infondata. Da quel giorno iniziò ad essere più scontroso e decise di passare all' "eliminatrice" per poter stare più in solitudine...per me era una maestro, era bravo in qualsiasi tecnica, sapeva fare tutto e la sua voglia di giustizia mi entusiasmava.
Sarebbe dovuto arrivare a momenti, ma al suo posto arrivò l'ispettore capo Bratzovic, e questo ci fece capire subito che c'era qualcosa che non andava. Bratzovic non ci consegnava mai  gli ordini di persona, ci contattava esclusivamente per telefono per mantenere segreta il più possibile la nostra identità; il suo arrivo ci preoccupò ancora di più quando si sedette al nostro tavolo e, senza togliersi l'impermeabile nè guardarci negli occhi, disse con un tono di voce molto basso "Abbiamo un problema".
Tirò fuori dalla tasca dell'impermeabile giallo ocra un foglio di carta. Una volta aperto iniziammo a leggere un biglietto scritto con il sangue.
"Ho il vostro amichetto, ora venite a prenderlo! Voglio una valigia con dentro 50 milioni di crediti, in contanti e non segnati, con il numero di matricola non consecutivo. Portatela alla stanza 13 del 2° piano al vecchio Maddy Palace sulla trentottesima strada. Entro le dodici. Dopodichè inizierò a tranciare un pezzo dello sbirro, ogni cinque minuti, uno dopo l'altro finchè non sarà rimasto niente". Firmato l'Alfiere.
Analizzai attentamente il foglio, normale carta per fotocopiatrici, impossibile rintracciarne l'origine, tastando il sangue usato come inchiostro guardai l'ispettorè che precedette la mia domanda con la risposta che non volevo sentire.
"Si, il sangue è quello di Bob, l'ho già fatto esaminare. Niente impornte digitali tranne le sue, nessun altro indizio, utile o inutile che possa essere. Il commissario ha già dato la sua autorizzazione all'uso della violenza e piena libertà di azione alla Eliminatrice, la valigetta con i soldi è fuori in macchina. Abbiamo solo due ore."
Senza dire altro ci alzammo tutti e quattro e ci recammo a sirene spiegate in centrale per rifornirci di equipaggiamenti.
Un Osaka Shotgun con silenziatore, un coltello a serramanico e due granate a frammentazione fumogena, volevo rimanere il più leggero ed agile possibile. Passammo circa venti minuti a studiare un piano davanti all'ologramma della piantina tridimensionale dell'edificio.
Arthur si sarebbe introdotto nei condotti di areazione e avrebbe piazzato delle piccole cariche attorno alla stanza. James sarebbe andato in avanscoperta, di solito lo faceva insieme a Bob. Io e Sonya eravamo i jolly. Sonya avrebbe scalato la parete e avrebbe fatto irruzione dalla finestra, mentre io ero l'ultimo uomo, avrei fatto da spalla a James e sarei intervenuto nel caso ci fosse stato bisogno di piombo. E avrei fatto qualunque cosa pur di squartare quel bastardo. Bob per me era un mentore, un maestro, aveva sacrificato la sua vita per la giustizia, una cosa che accadeva sempre meno spesso, e adesso era li a soffrire per colpa di uno squilibrato.
Alle undici eravamo sotto il Maddy Palace. Facemmo finta di entrare tutti, poi come al solito Sonya uscì di nuovo fuori per poter scalare la parete. Arthur ci mise poco a trovare l'accesso ai condotti dell'aria condizionata. Le sue ultime parole furono "Se vedete accendersi il segnale rosso sul trasmettitore... correte come se aveste il pepe nel culo". Io avrei fatto di meglio, avrei corso come se avessi avuto dietro al culo il mutante di Mosaku.
Io e James iniziammo a incamminarci. L'entrata principale era al piano meno uno, quindi ci aspettavano tre piani di scale, più o meno una quarantina di scalini da moltiplicare per tre, l'architetto fece in modo che tra un piano e la'ltro del palazzo vi fosse uno strato isolante per non sentire cosa succedesse al piano di sopra.
Provammo ad accendere la luce... naturalmente era staccata, il pazzo faceva di tutto per complicarci la vita. Assenza di corrente, ascensore fuori uso, una sola rampa di scale, un solo passaggio obbligato e conosciuto dal nostro  nemico, ma anche l'unico modo per portare in salvo il nostro amico.
Per nostra fortuna il maniaco non aveva intenzione di tenderci una trappola, ma quel pazzo doveva avere in mente qualcosa di altrettanto macabro e diabolico, come un ragno stava tessendo lentamente la sua tela per poi avvolgerci nella sua morsa fatale.
A metà degli scalini che portavano al primo piano le nostre paure diventarono realtà. Sentimmo degli spari, arrivavano dal piano subito sopra di noi, perchè li abbiamo sentiti nonostante l'isolate del piano, stava succedendo qualcosa...
Salimmo le scale di corsa e con il calcio del fucile abbattemmo la porta. Davanti a noi un corridoio lunghissimo e buio, come una notte d'inverno in cui non riesci a vedere neanche la mano davanti ai tuoi occhi. Ma dopo una ventina di metri il buio si dissolveva per lasciare spazio al fascio di luce di un faretto posizionato a terra. La luce partiva dal pavimento e andava verso il soffitto per illuminareuna scena che nessuno di noi due avrebbe voluto vedere.
Dal condotto dell'aria penzolavano un busto e due braccia, poi la luce dava un nome a quel corpo apparentemente senza vita, ma avevamo già capito di cosa si trattava.
Era Arthur. Corremmo verso di lui e cercammo di tirarlo fuori. Aveva fori di proiettile sul petto e sulla spalla destra, poi un taglio netto sulla carotide dal quale fuoriusciva a fiumi il sangue, e quel che era peggio Arthur sputò del sangue... era ancora vivo, se cosi si poteva definire.
Lo adagiammo sul pavimento, lui ci guardò con gli occhi pieni di paura, paura di andarsene per sempre insieme alla voglia di tornare indietro nel tempo ed evitare di essere sul punto di morte.
Aprì la bocca per parlare, ma al posto delle parole uscì un rigagnolo di sangue. Poi i versi di dolore cambiarono di tono fino a sembrare qualcosa di sensato.
"Bob..."
Quella fu l'ultima parola che disse. Il suo cuore cessò di battere. Presi la giacca e la misi sopra, in modo che si vedesse bene lo stemma della polizia e le macchie di sangue.... Se qualche reporter avesse fatto delle foto pria che arrivasse la polizia tutti avrebbero dovuto sapere per cosa era morto Arthur.
Ci alzammo e presi lo zaino di Arthur per controllare che tutto fosse ancora a posto, ma tutto stava andando semplicemente a sfottersi. Dallo zaino mancavano i telecomandi per azionare le cariche esplosive che Arthur aveva piazzato prima della sua morte. Ora era lui a fare il gioco, un gioco che iniziava a non piacerci affatto.
Ricominciammo a camminare, sconsolati per quello che avevamo visto, ma ancora più decisi a trovare quel bastardo, e prima di consegnarlo alla polizia lo avremmo fatto soffrire come mai avrebbe sofferto in vita sua.
Girammo il corridoio e lo attraversammo per la sua intera distanza fino ad arrivare alla nuova rampa di scale. Iniziammo a salire lentamente, quasi ci aspettavamo che da un momento all'altro scoppiasse tutto, per fortuna non fu cosi. Ma quando aprimmo la porta che dava al primo piano l'orrore dello spettacolo davanti a noi ci bloccò la circolazione. Di fronte alla porta vi era un'enorme vetrata. Ma lo spettacolo agghiacciante non era la città ricoperta dalla solita nube verdastra di inquinamento, avrei preferito vedere centro volte di più i grigi palazzi di Kalfornia city svettare in una estenuante sfida verso l'alto sopra quella nuvola malsana.
Attaccata alla vetrata vi era Sonya. Completamente nuda, crocefissa sul vetro ormai ricoperto di sangue. Sul seno una scritta insanguinata citava "Puttana". Gli occhi erano rimasti spalancati, erano i nostri che non riuscivano ad incrociarli, nessuno avrebbe avuto quel coraggio. Non potevamo fare nulla per lei, l'avremmo liberata da quella tortura visiva solo dopo aver compiuto il nostro lavoro. Quel che è peggio è che nessuno avrebbe ricordato Arthur e Sonya, perchè noi lavoravamo nel buio e in pochi sapevano che dovevano a noi se la via era anche solo per un millesimo più tranquilla. Continuammo il corridoio e in tutta fretta salimmo l'ultima rampa di scale. Abbattemo la porta e ci trovammo davanti un nuovo corridoio lunghissimo. I fondo la luce di una lampada illuminava una figura misteriosa. Un impermeabile nero e un cappello. La voce metallica per non farsi riconoscere iniziò a parlare
"La valigetta! Lasciatela li e andatevene... non vi succederà niente! Non vorrete certo fare la fine dei vostri amichetti... appena lascerete l'edificio vi dirò dove si trova il vostro Bob"

Quelle parole suscitarono in James un senso di odio e disprezzo mai provato prima.

"FOTTITI!" gridò prima di aprire il fuoco verso quella figura. La sua mira era eccezionale... eppure i proiettili sembravano non fargli niente... troppo tardi capii il trucchetto. Sentii un rumore metallico e qualcosa rotolare affianco a me... Guardai in basso e la vidi... una granata a frammentazione, di quelle in dotazione alla polizia ma soprattutto di quelle che fanno veramente male. La figura ebbe per un attimo una distorsione.. "E' un ologramma James...scappa" dicendo questo corsi via e mi buttai a terra...ma James invece rimase li a sparare in preda al suo raptus di ira... solo un istante prima che la bomba scoppiasse lui mi guardò, come a dire "Ho fallito, pensaci tu!". Poi l'esplosione, un boato fortissimo e la vetrata vicina in frantumi, un sacco di schegge mi arrivarono addosso, una mi sfiorò l'occhio destro, altre mi si conficcarono nelle gambe... per un attimo persi i sensi...sarei morto per salvare una vita...e ppure nessuno mi avrebbe detto grazie in caso di successo... i ringraziamenti sarebbero andati all'ispettore e al commissariato...ma nessuno avrebbe ricordato l' Eliminatrice.
Uno schiaffetto mi svegliò.... Intorno il fuoco aveva iniziato a divampare. Davanti a me la losca figura del pazzo omicida, stavolta quella vera, e quando lo vidi il mondo mi cadde addosso. Gli anfibi, l'impermeabile nero, i pantaloni di pelle...e poi le fiamme che illuminavano il volto di Bob che sorrideva davanti a me con un ghigno malefico.
"Tu... Bob... non ci credo... eravamo una squadra!"
"Squadra? Quale squadra Gionny?  Non esiste nessuna squadra! Pensi che qualcuno si chiederà che fine hanno fatto i tuoi amici? James Rodriguez oppure Sonya Whitmore... credi qualcuno si ricorderà di un negro di nome Arthur? No e sai perchè? Perchè noi siamo i buoni! E i buoni sono quelli che vengono sempre fottutti! Guardami Gionny! Vent'anni nella polizia, vent'anni a mettere da parte la mia vita sociale, i miei amici, i miei hobby...e tutto per cosa? Per una vita di anonimato. Sai perchè mi accusarono di corruzione? Perchè stavo indagando sulle bustarelle che si dividevano il commissario e Bratzovic... e sai qual è stato il ringraziamento? La sospensione dall'incarico... e mi sbatterono in questa squadra che nessuno sa che esiste!"
"MA LORO NON C'ENTRAVANO NIENTE BOB! LORO ERANO I TUOI COMPAGNI! LORO ERANO DALLA PARTE DEL BENE"
"IL BENE! Tutte puttanate! Nessuno ci ha mai ringraziato per quello che abbiamo fatto e nessuno lo farà mai. Tanto vale prendersi un po' di soldi e andarsene da questa città di merda! Ho un areo pronto all'areporto che mi porterà alle isole Caiman e li ci resterò tutta la vita facendo il signore... non sono più buono? E chi se ne frega! Guarda come si sono ridotti i buoni!"
"Ma Arthur... e Sonya...e James...e io! Noi cosa c'entravamo in tutto questo?"
"Arthur... il negro dal cuore tenero... sai cosa fece? Andrò a spifferare a Bratzovic che stavo indagando su di loro! Era marcio come questa città! E Sonya... beh... una piccola soddisfazione personale... cosi impara a insultarmi e deridermi quando apro i miei sentimenti per lei! Riguardo a James... il nostro caro compagno gestiva metà del traffico di stupefacenti nei ghetti, ha drogato più bambini lui che il cartello colombiano...e  infine rimani tu... tu sei l'unico ad avere lo spirito della giustizia e per questo avevo già deciso di lasciarti vivo! Ora dammi quella sfottuta valigetta e poi vattene... nessuno mi vedrà più e magari ti faranno un eroe perchè sei rimasto l'unico sopravvissuto. Comanderai la nuova Eliminatrice e sarai contento di questo, ma poi quando sarai tutto solo contro tutti anche tu come me capirai in che cazzo di mondo viviamo! E ora la valigetta! Fai la cosa giusta!"
Lo guardai negli occhi... il dolore quasi era scomparso e con la mano destra mi tenevo la gamba ferita...ma non solo... li avevo legato il coltello a serramanico. Le parole uscirono dalla mia bocca senza nessun comando...era il cuore che parlava.

"La cosa giusta..."

In un attimo tirai fuori il coltello e lo lanciai dritto in fronte a Bob. Il colpo fu netto e rimase qualche istante a fissarmi con gli occhi, mentre si riempivano di sangue... non riuscì a dire niente, anche se forse avrebbe voluto ringraziarmi o farmi i complimenti. Per una volta il bene aveva vinto e lui ne era stato protagonista, nel bene e nel male. Nel male perchè aveva interpretato male il senso della giustizia. Nel bene perchè era stato lui a farmi fare la cosa giusta.
Mi appoggiai alla parete e mi alzai. Presi la valigetta e riuscii a correre verso le scale antincendio, scesi e aspettai i rinforzi.
Sapevo già la scena che mi sarei trovato davanti. Sarebbe arrivato Bratzovic, mi avrebbe fatto nascondere per medicarmi, ma sarebbe stata solo la scusa per potersi prendere il merito dell'operazione, un poliziotto corrotto che uccide poliziotti, a sua volta ucciso dalla polizia e dalla sua irrefrenabile voglia di giustizia. E nessuno sarebbe venuto a chiedermi cosa ne pensavo, le mie sensazioni, la paura di quei momenti e la disperazione nel vedere i compagni morti. Ero una semplice carta in un mazzo troppo grande, e io ero semplicemente un due.
Ma fu a quel punto che mi tornarono in mente di nuovo le ultime parole di Bob... in realtà mi ha voluto dare un ultimo consiglio prima di andarsene, e io non lo sprecherò, non farò in modo che la mia vita mi scorra davanti in un anonimato deprimente. Presi la valigetta e me ne andai verso l'aeroporto mentre a sirene spiegate arrivavano polizia e vigili del fuoco.

Sono passati 3 mesi da quell'episodio. Non ho avuto notizie al riguardo, purtroppo qui alle Caiman i quotidiani americani non arrivano. Ho comprato una villa in riva al mare e ho costruito due locali sulla spiaggia. Ogni giorno spendo migliaia di crediti, ogni giorno ho una donna diversa pronta a fare qualunque cosa per i miei soldi. Ogni giorno il presidente delle Caiman viene per riscattare la tangente e per farmi i complimenti su come mi sto vivendo la vita. Penso proprio di aver fatto la cosa giusta. E se qualcuno pensa che rischio di finire in solitudine la mia vita si sbaglia, perchè qui alle Caiman ho trovato qualcuno con cui condividere il resto dei miei giorni... il mutante di Mosaku.

 

 

 

 

Dedico il racconto alla mia ragazza Elena.

 

"Gionny" Gionata Santisi

Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

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