Cammino tra i colori sfreccianti delle persone in strada che senza sosta si muovono verso direzioni poco precise, le macchine riempiono l'asfalto delle corsie e il fumo che ne esce intasa il cielo di un biancore quasi celeste, una nebbia artificiale, un paradiso tossico. Scarto dalla busta in polietilene a bassa densità la mela arricchita che ho comprato poco fa dal tabaccaio quando una ragazza mi sfiora il braccio, mi volto per guardarla e mi sorride, occhi orientali, zigomi alti e labbra carnose, raccoglie la mia mela dalla griglia del marciapiede e me la porge, sorride e tra la sua dentatura schiusa intravedo del metallo che le perfora la lingua. - Grazie ma, credo che ora non la mangierò più. - Le dico sorridendo, mostrandole il mio metallo.
- Perchè? - Mi chiede, col viso incuriosito degno d'una bambina desiderosa di sapere cos'è la sua cosina.
- Perchè c'è il novanta per cento di possibilità che un virus mortale abbia attaccato la mela - Le rispondo, intontito da tanta ignoranza e ingenuità. Se fosse una ragazza qualunque, probabilmente la scaricherei li, a riconfondersi in quell'accozzaglia di vestiti colorati ed alla moda, ma nei suoi occhi brilla una luce intensa che mi impedisce di lasciarmela sfuggire, nonostante mi abbia fatto perdere la mela arricchita per cui avevo lavorato tutta la mattina.
Fantastico per un attimo pensando ad un nuovo tipo di mela, imbottita d'antivirus di modo da riuscire a resistere ad ogni tipo di attacco, e negli occhi mi appare l'immagine di una gobba rossa e mostruosa, piena di protuberanze, e piccioli come lame conficcate nella polpa, ritorno subito alla realtà. La ragazza è ancora li in piedi in fronte a me, siamo due pali neri, due rocce salde nella precarietà d'una tempesta di passi, la prendo per la mano e un pochino trascindandola attraversiamo la strada, svoltiamo due o tre volte e raggiungiamo la piccola isola verde al centro di una laguna d'asfalto zeppa di automobili, che girano attorno alla natura, zigzagando, come squali eccitati dall'odore del sangue.
Ci sediamo in una panchina di legno, una delle ultime sopravvissute panchine in legno, rivestita di resina epossidica diluita con spermicidi ed antibatterici semplici, lei mi guarda e dice, mostrando ancora il metallo ricurvo conficcato nella sua lingua, che non ha mai visto nulla di più bello - Vedi..... posso chiederti il tuo nome?
- Il mio nome è Juliet. - dice quasi automaticamente
- Vedi Juliet, questa agglomerato di città è cosi estremamente grande, e fumoso, ed i parchi, la vegetazione, sono così relativamente pochi, che una persona per trovarne uno ha solo il 20% di possibilità durante tutta la sua vita, a meno che, qualcuno che conosce la strada non gli indichi il percorso, o la porti con sè, proprio come io ho appena fatto con te -
- Uau - risponde, solo uau, e i suoi occhi volteggiano fra le foglie, fra il verde cosi limpido e in contrasto con la nebbia di catrame e raggix, bario, selenio, amianto, mercurio metile, gas nervino, arsenico, sostanze che deformano i feti, che mutano gli organismi in grottesche caricature di se stessi, sostanze che uccidono lentamente, che ti fanno sputare sangue per una vita, fino a stroncarti in un bagno di piastrelle ipiastricciate di sangue di qualche bordello virtuale, mentre tentavi di sniffare qualche composto chimico sperando di alleviare il tuo dolore. Il sorriso sulle sue labbra è dolce come qualcosa che ho sentito ma che probabilmente non avevo ancora visto, gli occhi le brillano ancora, i capelli smossi dal vento mi lasciano intravedere il suo collo bianco e perfetto, e non sò, forse per la droga, o forse per qualche istinto animale sopravissuto a migliaia d'anni di evoluzione, le azzanno il collo intento a staccare un pezzo della sua carne lattea, ma quando infilo i miei canini rinforzati nel suo collo, una scossa mi scuote il corpo, lei si girà e mi guarda con un volto stupido, ha la mela in mano e la mastica, con la bocca piena mi dice - Hei guarda che puoi anche baciarmi, mi hanno insegnato come si fa.-
In quel momento capisco tutto, il perchè della sua ingenuità, la strana luce nei suoi occhi, mi alzo di scatto in preda al delirio e trovo un ramo abbastanza grosso, ai piedi di un albero corazzato, e le fracasso la testa una volta, e lei sorride mostrando il metallo nella sua bocca, mi dice - Che fai, se continui poi non ti piacerò più, la mia bellezza non riuscirà più ad attrarti. - Ricolmo di collera colpisco ancora il suo cranio con il bastone, una, due , tre volte, finchè la sua calotta non si apre mostrandomi i circuiti complessi in grado di replicare perfettamente un atteggiamento umano così dolce e reale, allora le fracasso anche il torace, le torco le braccia, le spiaccico i piedi, e intanto il suo corpo martoriato mi spruzza addosso il sangue artificiale che l'alimentava, e sento i microchip di trasporto sfrigolare sulla mia palle. Orma l'ho letteralmente fatta a pezzi, le infilo una mano nella bocca distrutta e tirando con forza le strappo la lingua in tessuti artificiali e mi prendo il suo metallo, l'osservo da vicino e leggo l'incisione della ditta produttrice, Fembot Inc. Luridi robot, penso, verrà il giorno in cui me ne scoperò uno e continuerò la mia giornata pensando di averlo fatto con una Donna vera.

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