"La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spero vi piaccia!

More
23 Giu 2007 10:07 #695 by Dex
Dex created the topic: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spero v
Ciau a tutti!!! ^_^ Sto rimettendo mano a questo romanzetto iniziato un po' di tempo fa...all'inizio, in realtà, ne volevo fare una quest per una campagna, ma poi mi è uscito così...
Probabilmente non è coerentissimo col genere cyberpunk, a volte ci si discosta un po': però sono curiosa di avere un po' di pareri, anche perché il lavoro è in cosrso e francamente ci sono delle situazioni in cui ancora non so come andare avanti...quindi, dei simpatici suggerimenti sarebbero anche molto benvenuti!  :)

Capitolo 1

NOTE:
Traduzione delle sigle:
WePI - web private investigations: società di investigazione privata, che si occupa di scovare informazioni in rete per i suoi clienti o di dare la caccia ad hackers.
Brain Watch - polizia che registra tipo anagrafe tutti coloro che hanno poteri esp spendibili in rete
Scissista - tipo di paranormale che riesce a far muovere la propria mente all'interno della rete scindendola dal corpo fisico, senza bisogno di nessun deck o supporto cibernetico e che agisce utilizzando la forza del pensiero.
supporto SK - supporto Soul Keeper, è una specie di "dischetto" su cui si può scaricare e intrappolare la mente di uno scissista nel momento in cui è separata dal suo corpo fisico, impedendogli così di tornare indietro.


Lethia Ballard si presentò in tarda mattinata alla reception del Glass-Globe Hotel e porse all’impiegato il suo biglietto da visita. Il ragazzo lo prese e sorrise di cortesia, alzando i piccoli occhietti da topo che si posarono distrattamente all'altezza del petto della donna. Lei abbassò lo sguardo maliziosamente e con le dita si sfiorò il colletto della camicia, che, nonostante l‘abbottonatura sobria, lasciava intravedere le morbide forme
- Ho per caso una macchia sul vestito? - domandò, candida, con una punta di malizia negli occhi - Sarebbe una pessima prima impressione... -
Il giovane arrossì vistosamente e cercò di ricomporsi
- Oh, no, no...Mi scusi. Stavo solo apprezzando la sua bellezza, signorina. Non credevo che la WePI annoverasse agenti così giovani e così affascinanti -
Aveva cercato di salvarsi in corner, ma la donna non parve apprezzare: il suo sguardo magnetico, più nero della notte, emanava una disarmante e austera freddezza.
- Io invece preferisco la professionalità all’apparenza - sorrise con distacco - soprattutto sul posto di lavoro -
Il volto dell’impiegato lasciò trasparire un evidente disagio.
- Certo, certo. Lei ha assolutamente ragione - asserì con deferenza - prego, si accomodi: è attesa alla camera 25, piano attico -  le porse una tessera magnetica, sfuggendo deliberatamente il suo sguardo - l’ascensore è in fondo a destra -

Quando la porta si aprì, un fascio di luce ampio le ferì lo sguardo: per quanto il tempo non fosse dei migliori, e il cielo promettesse pioggia, la vetrata che si apriva alle spalle del suo cliente e occupava l’intera parete creava un notevole sbalzo di luminosità rispetto ai corridoi dell'hotel, resi più cupi dal rosso opaco delle moquette e dalle carte da parati.
Non aveva mai visto di persona il dirigente della Omega society, ma la sua eccellente memoria visiva richiamò subito le poche immagini di lui che gli erano capitate sotto gli occhi, e le confrontò con l’uomo che aveva di fronte. In televisione e nei notiziari web non rendeva come dal vivo: i suoi capelli erano più biondi di come li ricordava, e i lineamenti lievemente più spigolosi; aveva occhi brillanti e vitali ma dall’espressione vagamente inquieta. Sembrava più giovane dei suoi almeno cinquant’anni: tutto sommato, un bell’uomo.
- Benvenuta, signorina Ballard - la accolse - sono lieto che lei abbia accettato il lavoro -
Sedeva a gambe incrociate, di fronte ad un tavolino rotondo in simil-vetro, su cui era appoggiato un vassoio con alcuni calici e una bottiglia di vino: le fece cenno di accomodarsi.
- Per il momento ho accettato solo un invito, non ho firmato un contratto - sorrise accattivante, mentre avanzava seguita dagli sguardi di due guardie del corpo posizionate ai lati della porta.
- Apprezzo la precisazione - rispose a tono l’uomo - ma spero che alla fine della nostra consultazione potrà dire il contrario -
Le versò un bicchiere di vino: dal colore sembrava di alta qualità, a meno che non si trattasse di una straordinaria imitazione.
- Ho esposto il mio problema alla WePI, e mi è stato assicurato che lei è la nuova promessa delle investigazioni virtuali. Così mi sono permesso di farmi inviare il suo curriculum: davvero sorprendente, per la sua età. E con un particolare interessante...  -
- Dipende da cosa considera più o meno interessante, signor Serjei Adrianov -
L’uomo non nascose un compiaciuto stupore
- Vedo che anche lei si è informata su di me... -
- Mai accettare un appuntamento al buio. Non è professionale -
Lethia portò il calice alle labbra e vuotò il contenuto del bicchiere. L’uomo sorrise, ed un’ironia intelligente brillò nel suo sguardo.
- Se lei è professionale sul lavoro come è veloce nel bere vino, credo di aver fatto una scelta eccellente -
- Se vuole che sul lavoro sia veloce a tal punto, si affretti a espormi il problema come si è affrettato a offrirmi da bere -
Serjei diede in una risata composta: quella donna gli piaceva, sapeva sfidarlo senza per questo diventare irrispettosa. Il direttore dell’istituto di investigazione privata virtuale aveva parlato di lei come di una persona estremamente difficile da trattare, ma impareggiabile sul lavoro. Era nella società da poco, ed aveva già risolto una serie di casi complessi che avevano fruttato alla WePI notevoli guadagni. Ma non era solo per questo che il compenso per le sue prestazioni era tanto alto. Lethia Ballard aveva anche altre doti, che andavano al di là delle sue capacità in rete: il potere che possedeva non era misurabile in denaro.
- Bene. Vorrà dire che tralascerò gli altri graziosi convenevoli che avevo in serbo per lei, e “mi affretterò” ad illustrale la situazione. L’incarico che voglio offrirle, come avrà capito dalla cifra che le viene offerta, è di grado di pericolosità elevato. Non si tratta di seguire le tracce in rete di un normale criminale informatico e non si tratta nemmeno di un recupero di coscienza, ovvero il principale tipo di lavoro che lei ha svolto fino ad ora -
Era vero, in genere la contattavano proprio per questo: ciò che Adrianov non sapeva, tuttavia, era che recuperare le coscienze disperse nella rete era proprio il lavoro che gli era più indigesto. Fu lieta nel sentirsi dire che si trattava di qualcosa di diverso, benché ad alto rischio.
- Il soggetto che cerchiamo é un nostro ex dipendente, si chiama Kevin Lockport, ed è stato riconosciuto come uno scissista non catalogato -
Finalmente un barlume di interesse increspò la liscia fronte della donna. Non aveva mai avuto a che fare con gli scissisti: la proposta cominciava a farsi stimolante.
- La Brain-watch non lo ha mai segnalato? Non è stato neppure inserito in una lista di presunti? -
- Certo che no, signorina Ballard. Pensa forse che non controlliamo in partenza i requisiti dei nostri futuri dipendenti? Inoltre, poiché è stato assunto come programmatore, è stato analizzato anche dalla nostra commissione interna -
- Dunque non avete i suoi parametri -
- Esatto. Non possediamo né la sua impronta in rete, né il suo tracciato cerebrale in fase di separazione, né le sue potenzialità operative -
- In sostanza è come dare la caccia ad un criminale di cui non si possiedono né i dati anagrafici, né una foto, né il DNA, né le impronte digitali... -
Serjei annuì gravemente
- Ha reso l’idea. Ma anche un criminale del genere potrebbe essere scovato se l’agente che lo cerca sapesse leggere i suoi pensieri...e pare proprio che lei sia dotata di questa facoltà -
Lethia sorrise senza partecipazione
- E' così -
- Il soggetto in questione, dopo essere stato licenziato dalla mia società, sta tentando di accedere ad un’area riservata del nostro sistema. Deve essere catturato prima che ci riesca -
- Comprendo. Perciò, lei desidera che io lo rintracci, identifichi il luogo da cui opera, e, dopo avervelo comunicato, interrompa la scissione e lo riporti indietro? -
Gli sembrava il modo di procedere più ovvio: in quel modo la brain-watch avrebbe potuto procedere alla cattura una volta che l’individuo se ne fosse tornato al suo posto, nel suo corpo.
Ma Serjei non pareva della stessa idea.
- In vero, ciò che voglio da lei è che si limiti a isolare la sua mente e scaricarla su un supporto SK - accompagnò le parole con un appena percettibile irrigidimento del viso - Supporto che consegnerà immediatamente a noi -
Gli occhi di Lethia ebbero un guizzo: il desiderio di pronunciare una domanda si formulò chiaramente in quello sguardo, ma subito la quieta indifferenza si stese di nuovo sul suo volto.
“Non si fanno domande sul lavoro. Non domande che non siano di lavoro”
- Perfetto - disse - nessun problema. Sarà un procedimento più rapido -
Era evidente che la Omega Society non ci teneva affatto a coinvolgere la Brain Watch: per questo si erano rivolti ad un’agenzia di investigazioni privata. Probabilmente, avrebbero pensato loro a regolare i conti con quel Lockport, forse avevano qualcosa da chiedergli, o più semplicemente non volevano che la polizia ficcasse il naso negli armadi dell‘azienda, dove di certo, come in qualsiasi altra grande corporazione, c’era nascosto qualche scheletro.
- Molto bene - le sorrise Serjei Adrianov, facendo scivolare sul tavolo una valigetta - Qui ci sono tutte le informazioni che possiamo metterle a disposizione. Vi sono documenti cartacei e una serie di registrazioni che potranno servirle. So che voi della WePI siete soliti studiare i vostri obiettivi dal punto di vista biografico e psicologico, prima di procedere, e immagino che l’avere di fronte uno scissista non faccia eccezione. In ogni caso - il suo viso divenne di nuovo allusivo - le consiglio tutta la discrezione necessaria -
Lethia Ballard prese la valigetta, si alzò con grazia rassettandosi la gonna con un gesto elegante, e sorrise decisa.
- Stia tranquillo. La mia prestazione è coperta da segreto professionale -

Please Accedi to join the conversation.

More
24 Giu 2007 09:47 #697 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Molto carino!!

E perchè dici "poco cyberpunk"?
...Qui di cyberpunk c'è tanto, in una classica atmosfera da ambiente corporativo (troppo pulito, controllato e formale per essere vero)!

Mi piace!

E, come dicevamo... Un'iniezione di poteri ESP, specie se nella rete, non turba minimamente l'ambientazione.
(Occhio che non diventi un Dragonball. Purtroppo ho visto obrobri simili in vita mia, anche nel CP...)


Caronte

Please Accedi to join the conversation.

More
24 Giu 2007 11:31 #698 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Vedrai, vedrai...il personaggio "poco cyberpunk" deve ancora comparire...^^ (però, dato che ormai sei ufficialmente il mio futuro master, almeno vedrai di che PG fuori dai crismi del mondo cyber sono capce...)
E' così puccioso che gli daresi al max qualche giorno di vita, nello sprawl!
Dragonball? No grazie...semmai Hunter x Hunter!!!!  ;)

Please Accedi to join the conversation.

More
24 Giu 2007 15:56 - 24 Giu 2007 16:05 #700 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Sinceramente credo che un ragazzino, proprio perchè verrà difficilmente preso sul serio anche dal più ignorante e violento dei booster, abbia più probabilità di sopravvivenza di un adulto che dice la parola sbagliata alla persona sbagliata, nello sprawl...

(La riprova è che uno dei miei ultimi personaggi masterizzati era proprio un dodicenne netrunner disadattato... Che aveva una vita discretamente sicura fuori dalla rete, nonostante fosse affiliato ad una banda di booster)

Provare per credere!

Vai così, Dex!


Caronte

Ps.: ho già la storia! Te l'ho detto che per questo fine -fossi figo- ne avrei già trovata una! Abbastanza ampia e profonda per iniziare, ma spero, soprattutto coi vostri background, di poterla ampliare ad altissimi livelli!
Last Edit: 24 Giu 2007 16:05 by Caronte.

Please Accedi to join the conversation.

More
24 Giu 2007 16:19 #701 by Pauline
Pauline replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Andiamo bene...bella coppia di squilibrati!!  ;D

Naturalmente scherzo...Barbara è stupendo questo inizio, molto Dick! Attendo con ansia il seguito...e conoscendoti...sarà un crescendo di colpi di scena magistralmente diretti da te!  ;)

Please Accedi to join the conversation.

More
24 Giu 2007 18:50 #703 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Paoletta...TI LOVVO!!!  :-*

capitolo 2

“Gli scissisti sono uomini assolutamente comuni, la loro abilità non è legata né a caratteristiche fisiche particolari, né a un quoziente intellettivo superiore”
Era una delle prime cose che si apprendevano alla Brain Watch, e anche alla WePI, tutti i poliziotti e gli investigatori della rete lo sapevano, e nel caso del soggetto in analisi quel principio sembrava avere la sua conferma visiva.
L’immagine sullo schermo gli rimandava il volto di un giovane uomo dall’aspetto impiegatizio, i lineamenti ordinari e un sorriso da fototessera, lineare e poco comunicativo. L’unico punto di quel viso su cui valeva la pena soffermare l’attenzione erano due piccoli occhi color ghiaccio dal taglio orientale, pittorescamente in contrasto con i tratti razziali chiaramente europei, che conferivano alla sua espressione un tocco di sottile arguzia.
Kevin Lockport, 29 anni, impiegato presso una succursale della Omega Society, una delle maggiori industrie farmaceutiche sulla piazza da un anno e due mesi, licenziato in tronco per violazione della privacy e furto di notizie riservate, scomparso da due settimane e presunto scissista.
Ma poiché la sua impronta non era stata registrata, nulla poteva garantire che il responsabile dell’infiltrazione fosse veramente lui.
Lethia richiamò il menù principale.
- Beh, vediamo che tipo sei... -
Sullo schermo comparve nuovamente l’immagine dell’uomo, stavolta a mezzo busto, un po’ più giovane e privo di quel lieve sorriso stereotipato. La voce fuori campo gli chiedeva i dati anagrafici, le tappe del suo curriculum, le esperienze lavorative, le motivazioni professionali che lo spingevano a presentare domanda presso la Omega Society. Lui rispondeva pacatamente, con una bella voce fluida, senza esitazioni. La situazione pareva non emozionarlo: la limpidezza della dizione, la postura del corpo, la tranquillità quasi incosciente dello sguardo facevano intuire una notevole sicurezza di sé, alla quale la foto precedente non rendeva giustizia.
- Sei bravo a nascondere i tuoi stati d’animo. Non sarà semplice, con te... -
Cliccò sul link successivo. Il file conteneva numerose riprese della telecamera di sorveglianza del suo ufficio: Kevin Lockport appariva un lavoratore meticoloso e puntuale, sempre chino sul suo computer, amante del buon caffè, dei quotidiani, e dei colleghi silenziosi. Delle sue relazioni sociali si poteva comprendere poco, poiché il suo ruolo nella ditta non lo metteva spesso in contatto con il pubblico, se non attraverso la rete e qualche sporadico accordo telefonico, ma per il poco che se ne poteva evincere pareva avere una buona predisposizione alla conversazione, che conduceva con eleganza e buon senso, oltre che con una sottile ironia che sembrava scaturire da una intima coscienza della propria superiorità.
- Mmm...tutto sommato sei un uomo interessante... -
Lethia estrasse il dischetto e lo ripose nella custodia.
- proviamo a conoscerci di persona, ora... -
Saltò giù dalla sedia girevole, prese il suo deck ed andò a accovacciarsi sul divanetto a due posti: la piccola stanza era in penombra, come le piaceva che fosse quando lavorava. Le serrande erano chiuse e sulla scrivania vi era una sola lampada da tavolo, che emanava una luce giallognola. Lethia adagiò il capo sul bracciolo, e cercò una posizione comoda: le ginocchia nude si distesero tra i cuscini. Sorrise, pensando alla faccia che avrebbe fatto Serjei Adrianov se l’avesse vista in quel momento, dopo che le aveva offerto le avanzatissime attrezzature della sua ditta, le sue comode poltrone deck-munite, e anche l’assistenza del suo personale. Ma non era quello il suo modo di lavorare. Lei, quando il mondo scompariva alla sua vista e la sua mente si apriva alle voci del sistema, desiderava essere lì, sdraiata su un antico divano in velluto rosso, con un paio di pantaloni corti e la t-shirt sdrucita. Uscire dal tallieur e dalle scarpe di vernice era come uscire dalla sua stessa vita, così come il mondo gliela aveva costruita addosso.
“Dentro Zeus non c’è vita. C’è solo il peccato originale di questa vita”
Con le dita cercò il fermacapelli su un lato della testa, ne sfiorò il freddo metallo perlato: “Lady Bird”, che nome buffo. Lo aveva chiamato così per la sua forma, una coccinella laminata che aveva comprato da piccola, forse incantata da quella stupida storia della fortuna. Chissà chi glel’aveva raccontata, poi...! Probabilmente qualche stupido assistente sociale che credeva di risolverle i problemi incoraggiandola a credere a babbo natale, o a Dio...! Beh, fortuna non gliene aveva mai portata, ma era un ottimo strumento per avere a portata di mano il lettore di comando mentale. Quando lo aveva fatto modificare, il tecnico aveva sorriso: ricordava il suo sorriso dolce, di chi aveva pensato che forse a quella stupida barzelletta sulla buona sorte ci si potesse credere.
Il dito pollice scivolò lungo il fermaglio: il sistema riconobbe l’impronta e inviò il segnale al deck.
Di Kevin Lockport non conosceva quasi niente: solo la sua voce, e l’area del sistema in cui voleva entrare. Gli mancava qualsiasi indizio sulle sue abilità effettive e sulla sua eventuale pericolosità. Per sicurezza, prese le precauzioni di routine: indossò gli occhiali schermanti e caricò sul deck una serie di programmi di protezione. Forse sarebbe stata un po’ più lenta, ma quella piccola limitazione non era mai stata un problema, date le sue capacità.
- Bene. Vediamo di che pasta sei fatto... -
Lethia Ballard chiuse gli occhi e sprofondò nella sua seconda casa.

“Aiutatemi...mi sento sola...Aiutatemi...non riesco a uscire”
La voce scivolò nel fondo del suo cervello, scese giù per la schiena in un brivido lento, e scomparve.
Sarebbe venuto un giorno...
Sarebbe venuto il giorno che non l’avrebbe più sentita...
Il dolce vuoto gli abbracciò la testa.
In fondo, sempre più in fondo.
Pochi attimi.
Quelle pace durava sempre troppo poco.
Poi arrivarono tutti, in massa, ossessivi, invadenti, confusi: l’onda si faceva spazio con prepotenza, resistergli era improduttivo, bisogna lasciarla scorrere, fluire senza ostacoli, mentre la sua mente scendeva, e scendeva...
Pensieri su pensieri, pensieri da ogni luogo, di ogni sorta: gioco, perversione, buisness, lacrime, risa, fantasie, parole, fino alle più rare e più complesse macchinazioni di hacker all’opera, che in altre occasioni e per altri committenti si era trovata a intercettare.
Ma quella volta, doveva andare oltre.
Per trovare uno scissista si doveva scendere fino nel centro di zeus, là, nel cuore del sistema, dove potevano permettersi di esistere menti di creature che avevano il raro e ricercato dono di poter recidere del tutto il contatto tra il corpo e la mente, permettendo a quest’ultima di muoversi lì, come un’entità autonoma e separata.
Un’intelligenza umana che agiva come un’intelligenza artificiale.
Un’intelligenza artificiale con un legame di carne e sangue.
A Lethia era capitato di giungere fino lì solo per alcuni casi di recuperi di coscienza: a volte accadeva che hackers inesperti, o solo clienti con disturbi cerebrali che avevano usufruito di programmi di realtà virtuale senza prima consultare il medico, rimanessero intrappolati nella rete e non riuscissero a scollegarsi senza l’intervento di quelli come lei.
Ma uno scissista era diverso.
Per uno scissista la separazione dalla propria realtà fisica era volontaria, non costante, e non supportata da alcun collegamento elettronico al sistema: era puro atto mentale, spontaneo e reversibile.
Dei veri e propri esp della rete, come lei.
Almeno da questo punto di vista, era uno scontro ad armi pari.
Attivò il programma di interferenza; non sapendo di essere cercato, il suo bersaglio era in svantaggio: l’attacco a sorpresa era la tattica migliore.
...
In Zeus c’era silenzio.
O almeno, ce n’era abbastanza per calmare la sua mente.
Adorava il silenzio: in quello stato attendere non era un peso. Sperò comunque di non dover monitorare la zona a tempo indeterminato: il suo corpo era in posizione abbastanza comoda, ma di certo, se la cosa andava per le lunghe, si sarebbe alzata con il torcicollo e il formicolio sotto i piedi.
Passarono lunghe ore - così almeno gli segnalava il menù - prima che finalmente percepisse una presenza non identificata. A quella profondità, i casi erano pochi: o era una coscienza dispersa, o era un genio del sistema, o era il suo obiettivo.
Concentrò la sua mente ed entrò nei suoi pensieri: fu meno difficile del previsto.
“Ti voglio bene, Sen”
Ehi, ma che razza di pensiero era? Certo, non era un pensiero di quelli che si sentivano di solito nel cuore della rete, laggiù dove le menti sono così staccate dalla loro dimensione reale da perdere quasi il senso della realtà.
“Sen. Meglio ricordarsi questo nome”
Poi seguì un pensiero ben più chiaro: un comando mentale per accedere al sistema della Omega e...una password!
"Accidenti, accede ai loro file riservati con regolare password? Come diavolo l'ha presa? Notevole davvero!"
Richiamò la funzione immobilizzante, non riusciva a individuare dove si trovasse l’obiettivo, quindi la estese su un campo abbastanza vasto. La banda di controllo all’estremità alta del suo campo visivo rimandò un segnale di errore, e una voce parlò nel suo cervello.
- Ops. Un’intrusa. Poco carino non farti neanche vedere! -
Davanti agli occhi di Lethia si materializzò la figura di Kevin Lockport, o forse avrebbe dovuto più propriamente dire la sua proiezione virtuale, anche se il nome tecnico non rendeva giustizia ad un’immagine dall’aspetto tanto reale.
- Complimenti. Icona perfetta -
- Se è per questo, la tua non è da meno -
Sorrise, con la stessa espressione del video, così tranquilla eppure vagamente aggressiva: Lethia si guardò le mani, e si rese conto che il suo programma di invisibilità era stato neutralizzato senza che lei neppure se ne accorgesse.
- Forse dovresti tornare a casa, signorina. Sei fuori posto, qui -
I suoi occhi brillavano vividi: l’emissione vocale corrispondeva perfettamente ai movimenti delle labbra.
- E’ questa la mia casa - rispose lei con tono di sfida - come faccio ad andarmene? -
- Semplice. Ti accompagnerò fuori io -
Lethia ebbe appena il tempo di vedere il segnale di pericolo accendersi sul menù principale: l’attacco fu velocissimo, il sistema di protezione degli occhiali intercettò l’attacco e lo assorbì, ma una dolorosa vibrazione le passò ugualmente attraverso le orecchie.
- Puoi fare di meglio, mi auguro! -
- Naturalmente. Ma lo vorrei evitare - il ragazzo la guardò deciso - Vattene -
- Spiacente. Il lavoro è lavoro -
Si concentrò nuovamente sulla funzione immobilizzante: la piccola icona rossa comparve ai piedi dell’uomo. Lui scosse la testa.
- Banalità - sussurrò.
Socchiuse gli occhi: il rosso divenne nero, e poi fumo, e poi nulla.
- Ma tu...come...? -
- Non ti sei mai scontrata con uno scissista, vero? La Omega avrebbe dovuto metterti in guardia, prima di ingaggiarti e mandarti incontro a morte certa... -
Non aveva del tutto torto: le potenzialità di quell’individuo erano superiori alle proprie, aveva neutralizzato il suo attacco con un battito di ciglia. Inoltre, non avendo bisogno di utilizzare programmi, le sue mosse erano assolutamente imprevedibili. Ma Lethia detestava essere svalutata.
- Non ti conviene offendermi. Potrei diventare cattiva... -
- Mi dispiace...ma il fatto che tu sia stata così brava da trovarmi, non significa che tu lo sia abbastanza anche per difenderti da me... -
- Sono rischi del mestiere -
Kevin Lockport esitò un istante, poi distese le labbra in quello strano sorriso che non aveva espressione e la fissò negli occhi
- E’ vero. Sono rischi del mestiere -
Gli occhiali schermanti di Lethia rilevarono un flusso cerebrale anomalo, e prima che avesse tempo di reagire una scarica elettrica le attraversò il corpo: un velo nero calò sulla sua vista, ma la mente non perse lucidità. Comprese la natura di quell’attacco: la stava sbattendo fuori dal sistema.
- Ehi, per chi mi hai preso? Credi sia così facile sbarazzarti di me? -
- Di certo meno facile che ucciderti: ma non è nel mio stile. Se mi credi un assassino, vuol dire che la Omega ti ha dato informazioni scorrette... -
Non poteva più vedere la sua proiezione, non poteva vedere cosa stava facendo, ma per un attimo intuì che doveva esserle estremamente vicino: riusciva quasi a percepire fisicamente quella vicinanza.
- ...e tuttavia... - lo sentì dire - questo non significa che non ti farò del male... -
Un dolore lancinante trapassò la testa di Lethia, un’ondata di gelo attraversò il suo corpo, e d’un tratto le parve di star precipitando nel vuoto, senza appigli.
Spalancò gli occhi e lentamente mise a fuoco lo sguardo sulle mattonelle del pavimento di casa: era caduta dal divano e aveva sbattuto la fronte.


Please Accedi to join the conversation.

More
27 Giu 2007 20:36 #719 by Crerigan
Crerigan replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
fin qua rende parecchio ^^

bellobelllo ^^

Please Accedi to join the conversation.

More
01 Lug 2007 14:42 #724 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
:-* Sono commossa! Graccie! *_*

ed ecco il terzo...con un momentaneo cambio di scenario e introduzione del nuovo pg!

Capitolo 3

Abrham Hollis era ormai diventato la favola della clinica “Bluesummers”: la sua testarda convinzione ora commoveva ora sollevava questioni morali ora faceva sorridere tutto il personale.
Persino il primario lo aveva convocato a colloquio e gli aveva parlato senza troppa delicatezza: morte cerebrale, coma irreversibile, non ci si poteva fare niente. Ma lui - il composto e riservato signor Hollis - gli aveva risposto che i medici pensavano da medici, un parente pensava da parente, e che lui non avrebbe mai autorizzato l’espianto degli organi, neppure in punto di morte, perché Dewy stava solo dormendo, e presto o tardi si sarebbe svegliato.
Forse in altri tempi, e in bel altre condizioni economiche rispetto alla sua, quella incrollabile speranza sarebbe stata da ammirare, ma di fronte alla certezza di finire presto sul lastrico, con troppi anni sulle spalle per poter ricominciare da capo, e messo di fronte ogni giorno ad uno scenario di cupa desolazione, dove famiglie ben più ricche permettevano che si staccasse la spina ai propri cari, cosa si poteva pensare di quell’ometto canuto che non aveva più un soldo per pagare la tassa sui macchinari che tenevano in vita suo nipote, eppure era sempre lì, a visitarlo, ogni giorno?
La dottoressa Lynch a volte se lo chiedeva.
E la risposta era che non poteva fare altrimenti.
Non poteva sradicare dalla sua mente quella convinzione, finché avesse continuato a venire lì, a sedere al suo capezzale, perché chiunque avesse guardato da vicino - come lei doveva fare ogni giorno, quando controllava i quadri di monitoraggio di quel reparto abbandonato da dio - quel giovane paziente non avrebbe potuto pensare nient’altro che stesse solo dolcemente dormendo.
Dewy Hollis, vent’anni a breve, era stato colpito da emorragia cerebrale tre anni prima, era entrato in coma e il suo stato non aveva più subito alcuna evoluzione: eppure, a osservarlo, non aveva l‘aspetto di un malato, fosse anche solo per la inspiegabile espressività del suo viso. Aveva lineamenti aggraziati e gentili, labbra lievemente distese, quasi ad accennare un leggero sorriso, e capelli incredibilmente biondi, che in tre anni erano cresciuti per conto proprio, arricciandosi deliziosamente, orgogliosi del loro dorato splendore.
Suo zio aveva speso per tenerlo in vita tutto ciò che aveva. E adesso aveva ipotecato la casa, che era poi anche il suo luogo di lavoro e la sua unica fonte di sostentamento.
La dottoressa sapeva, anche se non aveva mai avuto occasione di visitarla di persona, che l’ “officina Hollis” aveva avuto i suoi momenti di prestigio, un tempo: Abraham era rimasto uno dei pochi antiquari e restauratori esistenti al mondo, non era un mestiere redditizio, ma se ci si faceva un buon giro di clienti si poteva raggiungere una certa fama. Dopotutto, la moda non inventava mai niente di veramente nuovo, e in certi periodi, quando era particolarmente stanca di esercitare la fantasia per modificare il vecchio, si limitava a ripescare nel passato le cose tali quali erano. Abraham si era specializzato nell’imitazione di mobilio d’epoca, e si era costruito un buon giro di affari tra i cittadini bene di Reole, che non disdegnavano di mandare i loro consulenti immobiliari fino a Seaside Corner per commissionargli armadietti liberty per studi legali e uffici o cucine rustiche per soddisfare il gusto delle mogli. I loro macchinoni lucidi sollevavano la polvere delle strade del vecchio porto commerciale, e talvolta i loro elicotteri privati atterravano sul tetto del palazzo della succursale della Jarret viaggi, facendo volgere in su gli sguardi dei ragazzetti del molo.
Seaside Corner era chiamato anche “l’appendice della città”: una striscia della metropoli protratta sul mare, un tempo prospera, finché il porto che vi sorgeva non era stato rimpiazzato da una ben più funzionale struttura all’altro lato della città.
Lì, la metropolitana passava con cadenza oraria solo nei giorni feriali, la nettezza urbana prelevava i rifiuti una volta al mese, e persino i quotidiani arrivavano in edicola alle tre del pomeriggio: ma in certi posti - bastava saperlo - si poteva ancora trovare un buco sporco di fumo ed olio dove la gente cucinava cibo “vero”, cibo degno di essere consumato sulle belle tavole di legno che Abrham riproduceva con minuziosa precisione.
L’officina sorgeva poco lontano dal mare: dalle sue finestre, quando i mucchi di immondizia non coprivano la vista, si poteva vedere l’orizzonte, su cui si stagliava in lontananza la sagoma della piattaforma d’estrazione, vanto e ricchezza di Reole. Dà là, le petroliere facevano la spola per il porto, ma non attraccavano nel molo di Seaside Corner: il porto industriale stava dall’altro lato del golfo, e quel che restava del vecchio era ora solo luogo di scalo per contrabbandieri e clandestini. Ogni mattina, Seaside Corner si svuotava: la sopraelevata si copriva di smog, la metropolitana brulicava di piccole formiche indaffarate, e nel quartiere restavano i pochi che avevano la fortuna di lavorare alla Jarret viaggi o alla Gordon import-export, chiare copertura di immigrazioni clandestine e strani traffici. Anche Abrham, da tre anni, quasi ogni mattina si spostava ma, al contrario del flusso di concittadini che si recavano al posto di lavoro, lui il lavoro lo lasciava, e andava a sedersi per un po’ al capezzale di quel ragazzo biondo, nella clinica Bluesummers, lindo ospedale privato della zona residenziale, abbastanza mal attrezzato e abbastanza poco professionale da pretendere una retta che poteva ancora permettersi.
Ancora per un po’, almeno.

- Ciao Dewy...come stai oggi? -
Abrham trascinò lo sgabello in ferro vicino al letto. Il cigolio tagliò l’aria con stridore: in quel silenzio innaturale anche il rumore di un passo poteva suonare fastidioso.
- Fuori è caldo...è una di quelle giornate che ti piacciono. Varrebbe la pena dare un’occhiata, lo sai?-
Aveva sentito tante di quelle strane testimonianze di persone che erano uscite dal coma e riuscivano a descrivere la propria stanza, riferire le voci dei medici e dei parenti, raccontare cosa era accaduto attorno a loro, come se il loro spirito fosse in qualche modo sospeso a mezz’aria nella camera e ascoltasse tutto ciò che veniva detto o fatto. Quelle storie, in un certo senso, lo rasserenavano
Ma Dewy non aveva l’aria di una persona la cui anima vola in giro per la stanza: Dewy sembrava sempre lì, anche se aveva gli occhi chiusi e la stessa espressione da tre anni. In un certo senso, Abrham avrebbe preferito immaginare il suo spirito staccarsi dal corpo e passeggiare libero per i corridoi.
- Staresti meglio a casa tua. La tua stanza è sempre lì, con la cornice dipinta a acrilico lasciata là, ad aspettare di essere finita. Quante volte ti avrò detto che non si lavora con gli acrilici nella stanza da letto? Sono sostanze che non dovrebbero essere inalate... -
Forse il suo spirito avrebbe dipinto anche quei muri, se avesse potuto. Detestava le pareti bianche. Gli erano sempre sembrate inespressive.
- quando la finirai...quella cornice la venderemo all’avvocato Crispi. Che ne dici? Col ricavato ricompriamo un po’ di cose...Anzi, no. Col ricavato ti porto a cena in centro... -
- Signor Hollis... -
La voce della dottoressa era ormai quasi una rassicurazione. In quel posto che sapeva di morte, le consuetudini erano l’attaccamento alla vita.
Quando tutto si ripeteva identico, voleva dire che almeno nulla era cambiato.
- Mi spiace, l’orario delle visite è... -
L’uomo si era già alzato, stancamente. In quegli anni la sua andatura si era fatta più goffa e incespicante.
- Si, lo so. Sto andando, dottoressa... -
Le fece un debole sorriso di cortesia.
Dewy, col suo viso dolce e i capelli ondulati abbandonati sul cuscino, sembrava ascoltarli da un luogo lontano, senza trovare opportuno intromettersi nella conversazione.
- Signor Hollis, per quanto tempo ancora pensa di... -
- Per quanto sarà necessario, dottoressa... - nella sua voce c’era una solennità pacata, di vecchio oracolo fallito - per legge di natura, i figli sopravvivono ai padri. Dewy ha vent’anni, ed io quasi settanta. Comunque vadano le cose, è giusto che io muoia prima di lui... -
La dottoressa Lynch gli rivolse uno sguardo di rassegnata tenerezza.
- Buona giornata, Abrham - disse
- Buona giornata a lei, dottoressa. Buona giornata, Dewy -

Please Accedi to join the conversation.

More
02 Lug 2007 00:09 #727 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Sarà che sono ubriaco...
Ma questo racconto è bellissimo!
Sicura che non vuoi fare te la master?


Caronte

Please Accedi to join the conversation.

More
02 Lug 2007 09:15 #728 by Pauline
Pauline replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Barbara è fantastica e non solo in cyberpunk, io mi sono innamorata di un suo racconto del 1700 era? Ora mi sfugge la data, ma Evan e Rashid non riuscirei mai a dimenticarli...non riuscivo a staccare gli occhi dalle righe!

Please Accedi to join the conversation.

More
02 Lug 2007 09:29 #729 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
# *__________* #
Sono emozionata!!! Graccieee!
...
No, Caronte...non voglio fare la master...dopo mi affeziono ai vostri pg e divento troppo buona! ^_^ E poi non sono capace di fare le tue splendide piantine ^_- !!! Però occhio a Dewy...il mio pg gli somiglierà parecchio!  :P (da qualche parte mi dovevo pur ispirare...)

Please Accedi to join the conversation.

More
18 Lug 2007 10:16 #749 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Ed ecco qua...prima di andarmene per qualche giorno in vacanza posto il capitolo 4! Aspetto qualche commentino! Hihi!  ;D

Capitolo 4

“Potrebbe trattarsi di una forma di schizofrenia. E’ un disturbo raro in una bambina così piccola, ma i primi test sembrerebbero avallare questa ipotesi”
“Si tratta di un disturbo curabile, vero?”
“Non posso avanzare ipotesi per il momento. Bisogna condurre ancora molte analisi, ma con gli psicofarmaci siamo in grado di risolvere molti problemi, e non è escluso che non con lo sviluppo...”
“E’ MALEDETTA! Mia figlia è maledetta! E’ stata baciata dal diavolo!”
“Non dire idiozie! Il diavolo no esiste!”
“Signora Ballard, si calmi. Non è poi così grave. Vedrà che con un piccolo aiuto farmacologico e una buona terapia...”
“VOI NON CAPITE! Io l’ho visto! L’ho visto entrare: è andato sul suo lettino...si è chinato su di lei! Siamo stati dannati, per sempre!”
“Tesoro, adesso basta!”
“Signor Ballard, accompagni fuori sua moglie, la prego..."
...
Lethia si tirò su a sedere, e i piedi nudi toccarono il freddo pavimento. Un brivido le risalì su per la schiena. Per colpa di quel Lockport, da due giorni aveva un mal di testa insopportabile, che le impediva persino di dormire.
E l’insonnia era sempre portatrice di cattivi pensieri.
La notte non era fatta per la veglia: nella notte si svegliavano i fantasmi, non quelli con cui era abituata a parlare, non quelli che avevano un corpo a cui essere ricondotti: i suoi fantasmi, quelli più odiosi, perché non potevano essere riportati da nessuna parte.
Si stropicciò gli occhi, e guardò le lancette fluorescenti dell‘orologio: erano ancora le 4 del mattino e sapeva che non sarebbe più riuscita a prendere sonno. La giacca del Tallieur era appesa alla spalliera, la gonna ripiegata accuratamente, le scarpe abbandonate sotto la scrivania. In quei giorni era nervosa: benché il signor Adrianov fosse rimasto entusiasta dell’esito della sua operazione, che le aveva permesso di ottenere ed analizzare tutti i parametri di Kevin Lockport, per Lethia dover ammettere di essere stata buttata fuori dal sistema in due sole mosse era umiliante.
Inoltre, il dolore non accennava a diminuire.
- Bastardo - sussurrò a mezza voce - Bastardo! Te la farò pagare! -
Quello stronzetto dal sorriso elegante era stato il primo individuo al mondo che era riuscito a sfuggirgli.
Una volta, però.
Non ci sarebbe stata la seconda.
Si alzò in piedi, raccolse i lunghi capelli corvini in una coda, bevve una tazza di caffé e poi tornò a accomodarsi sul divano.
- Ho i tuoi parametri, mio caro - disse, inserendo un piccolo cip all’interno del deck - ed un nuovo programma fatto apposta per te. Non mi troverai più impreparata -
Aveva trascorso l’intera giornata precedente a studiare le informazioni raccolte durante il primo contatto con lo scissista: se lui era stato più abile nel confronto diretto, almeno lei era stata brava nel reperire i dati necessari. Da quel breve incontro era riuscita ad estrarre praticamente tutto ciò che gli serviva per elaborare un sistema di trasferimento fatto su misura per lui, e prendere precauzioni per non essere estromessa da Zeus di nuovo: se voleva sfuggirgli, stavolta, doveva ucciderla.
Indossò fermaglio ed occhiali e controllò che ogni cosa fosse pronta.
- Oggi, sarà una barzelletta anche trovarti... -
Davanti al suo sguardo comparve l’ordinaria banda di controllo: stavolta non ci sarebbe stato bisogno di seguire i suoi pensieri, ci voleva meno tempo e meno fatica nel lasciare che il computer rintracciasse la sua impronta. Il brusio di sottofondo accompagnava la procedura, ma ci aveva fatto l’abitudine, e quando si concentrava sul lavoro riusciva facilmente ad ignorare i bisbigli dell’utenza della rete, per quanto insistenti potessero essere: un lontano ronzio, come di falene impazzite intorno ad una lampada, e nulla di più.
Bip...bip...
Un led rosso pulsò sulla banda di controllo.
Avviso di pericolo.
- Kevin Lockport? -
Il programma di ricerca confermò, prima ancora che lei potesse finire di pronunciarne il nome, ma non ebbe tempo di agire che gli occhiali schermanti la avvisarono della presenza di un campo d’isolamento che si era di colpo innalzato attorno a lei.
- Scollegati, ed io ti lascio andare -
L’immagine di Kevin si delineò visibile di fronte a lei.
- Non hai le certe in regola per minacciare! Il tempo che ho impiegato a rintracciarti non ti dà alcuna garanzia di sicurezza, a meno che tu non mi bruci il cervello adesso! -
Paradossalmente, sentiva di non provare alcuna paura: la morte non le era mai sembrato quel granché, quantomeno avrebbe potuto constatare di persona che non esistono né diavoli né dei.
- Lo so. E me lo aspettavo. Per questo sono stato costretto ad usare una strategia preventiva -
D'un tratto si accorse che le provocazioni di quell'uomo la eccitavano: non aveva mai trovato un avversario così. 
- Se è per questo, anche io mi sono prevenuta -
Lethia si concentrò sul suo potere: con la mente immaginò di sferrare un colpo violento a Kevin Lockport. L'immagine del ragazzo fu come investita da un muro d'aria invisibile.
- Ehi! Mi hai fatto male! - protestò lui
- Peggio per te. Uno pari -
Kevin alzò la testa: aveva begli occhi, penetranti e un po’ tristi.
- Non voglio farti del male. Vattene -
- Non posso accontentarti. Stai cercando di accedere ad un archivio privato del mio cliente. Ho l’ordine di impedirtelo -
- Errore. Sto cercando di dare quel che si merita al tuo cliente. Non ti sei neppure domandata perché ti è stato chiesto di trovarmi? -
- Non sono solita fare domande sul lavoro -
Stava cercando di distrarla, e non doveva permetterglielo: quattro anni di attività le avevano insegnato che quando si lavora con le menti altrui, ogni curiosità doveva essere lasciata da parte. In quel momento, come in tutti i suoi recuperi di coscienza, Kevin Lockport era solo uno spirito disperso in zeus che lei doveva riportare indietro, che lui lo desiderasse o meno. Si concentrò sui programmi e attivò la funzione paralizzante; questa volta avrebbe funzionato, era stata riadattata su misura per lui.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo sorpreso, poi lo stupore si trasformò in rabbia.
- Che ti salta in mente? Lasciami andare! lasciami andare, o non ne uscirai viva, Lethia Ballard! -
Sul viso di lei comparve un sorriso di trionfo.
- Oh, vedo che conosci il mio nome! -
- Ma naturale...qua in Zeus sei ospite d’abitudine. Peccato che, nonostante la vita che hai avuto, tu preferisca vendere le tua capacità alle corporazioni anziché contribuire a evitare agli altri di subire le stesse ingiustizie! -
Aveva cambiato ancora espressione: adesso non stava più giocando, né la stava provocando: nella sua voce c’era la chiara intenzione di colpire un punto debole. Che pensava di ottenere?
- Qui non c'entra la mia vita -
- C'entra eccome. Anche io ho “studiato” i tuoi “parametri” nella giornata di libertà che mi hai concesso. E ho saputo un bel po’ di cose di te. Due a uno, signorina -
Lethia sentì l'ira salirle su dal fondo dello stomaco: da una parte verso di lui, che si permetteva di andare a scavare dove nemmeno lei scavava più da anni, dall’altra verso se stessa, che concedeva ad uno sconosciuto di riuscire così facilmente nell’intento di farle perdere la calma. Quel bastardo doveva aver capito fin troppo bene quanto la concentrazione le fosse indispensabile per agire, e stava portando avanti una sleale azione di disturbo psicologico. Pure, il desiderio di sapere fin dove si fosse spinto fu più forte del buon senso.
- Cosa sai di me? -
Il sorriso di Kevin mostrò un lampo di compiacimento.
- Beh, diverse faccende. Per esempio che da bambina sentivi strane voci, che dicevi di parlare con le macchine, che i tuoi genitori ti hanno presa per pazza e ti hanno spedito in manicomio, che hai fatto cose poco pulite, che sei finita in galera e....vuoi che vada avanti? -
Lo sguardo di Lethia era furioso: desiderava colpirlo con tutto il cuore per sfogare quella rabbia, desiderava stampare uno schiaffo su quella faccia di bronzo...desiderava ferirlo...
- Questo non è leale! La mia vita privata non ha nulla a che fare con la sfida tra me e te! -
Kevin le puntò gli occhi in faccia: nonostante fosse immobilizzato e indifeso, c’era qualcosa di minaccioso nel suo volto
- Ah, dunque è una sfida leale, la nostra? Bene. E ti sembra forse leale vendere un  uomo ad una corporazione senza chiedergli neppure ciò che ha da dire? - la sua voce aveva un timbro vibrante, di cupa lucidità - è forse leale attaccarmi per denaro, ignorando di essere complice di un branco di assassini? E' forse leale cercare di imprigionarmi contro la mia volontà, senza neppure prenderti la briga di denunciarmi alla brain-watch? Dimmi una cosa, il fatto che abbiano ingaggiato un agente privato non ti ha fatto venire neanche un sospetto? Ma no, certo...tu sei quella che “non fa domande sul lavoro”! Beh, se permetti, ficcando il naso nella tua vita privata non ho fatto quel granché...! Per non parlare del fatto che non ho mai cercato di friggerti il cervello...! -
- Ma guarda cosa devo sentire! Un criminale informatico accusa me di agire contro la legge! Se davvero il mio cliente stesse facendo qualcosa di losco, perché non lo hai denunciato, invece di nasconderti nella rete? -.
- Avrei voluto farlo. E lo avrei fatto. Ma non posso -
- Che stai dicendo...? -
- Sto dicendo che non posso. Non posso andare alla polizia...Non ne ho modo -
- Ma davvero? E sentiamo, perché mai? Hai paura di beccarti dieci anni perché non ti sei fatto registrare alla brain watch? -
- No. Questo sarebbe impossibile. Nessuno può rinchiudermi. E nessuno può...toccarmi...o vedermi -
Kevin fece un sorriso strano: gli ricordò il riso di qualche misterioso folletto visto da bambina in chissà che libro di fiabe
- Io non posso fare più niente, fuori di qui. Perché io sono morto, Lethia Ballard -
- Sei...morto? -
Il silenzio calò per un attimo tra loro. Dall’espressione di Kevin, Lethia intuì che se non fosse stato paralizzato dal programma, probabilmente si sarebbe stretto nelle spalle in un gesto di disincantata rassegnazione.
- Esatto. Sono morto. Un sicario della Omega mi ha aggredito a casa mia, e mi ha piazzato una pallottola in testa. Non ho idea di che fina abbia fatto il mio cadavere, ma sicuramente lo hanno nascosto bene. Di soldi per insabbiare ogni sospetto ne hanno a sufficienza -
Le sopracciglia di Lethia si aggrottarono, ma verso l’interno: la naturalezza con cui quell’uomo parlava del suo presunto decesso aveva dell’inverosimile. Ma ammesso che non stesse mentendo - e non aveva ragioni di farlo - si trovava di fronte ad un fenomeno davvero interessante. La curiosità prese la precendenza anche sul lavoro.
- Ma...se sei fisicamente morto, come fai a trovarti qui? -
- Perché sono riuscito a effettuare la separazione nel momento stesso in cui mi sono reso conto di quel che stava succedendo. Un attimo prima che quella pallottola penetrasse nella mia fronte, io ero già qui. Non ricordo di aver percepito neppure il dolore. Sono molto bravo, no? -
Era bravo, sì. Era meravigliosamente bravo. Se fosse rimasta a ascoltarlo ancora, ne sarebbe stata incantata, e forse anche questo faceva parte della strategia di quell'uomo geniale e affascinante.
- Pazienza. Non importa se non c'è più un corpo a cui riportarti. La omega mi ha ordinato di scaricarti su un supporto -
Lethia attivò il programma di trasferimento che le era costato un giorno di lavoro: il supporto SK era già stato accuratamente predisposto nel suo deck.
- Maledizione, ma non ti interessa neanche un po’? - esclamò Kevin - Non vuoi nemmeno che ti spieghi? Non vuoi sapere perché faccio questo? Non vuoi sapere perché vogliono toglermi di mezzo? Non voui sapere cosa c'è in quegli archivi? -
“Non si fanno domande sul lavoro. Non domande che siano di lavoro”
- No, non voglio saperlo. E' una questione di professionalità -
- Non è AFFATTO una questione di professionalità! E’ una questione di COSCIENZA! C'è di mezzo un crimine, e se tu mi consegni a loro, ne permetterai altri...! -
La voce del ragazzo apparve sfalsata rispetto al movimento delle sue labbra. L’icona di lui non era più tanto nitida: il processo di trasferimento era avviato, in pochi minuti la mente di Kevin Lockport sarebbe stata intrappolata sul supporto SK e il suo lavoro sarebbe finito.
- ...Aspetta almeno un momento! Lascia che ti parli...! Tu non sai cosa stanno facendo...Tu...tu mi devi ascoltate...! Ti prego, Lethia! Ti prego...! -
- Io sono quella che “non si fa domande sul lavoro”...lo hai detto anche tu. Mi dispiace -
Silenzio. Lo sguardo del giovane la fissò, sbiadito.
- Va bene. Allora non mi lasci scelta. Addio -
Fu l’ultima cosa che Lethia riuscì a udire, prima che un ronzio assordante le penetrasse le orecchie. Sentì un calore violento esploderle negli occhi: i comandi del menù impazzirono, la sua percezione di zeus si dissolse, fu come se ogni suo singolo impulso, ogni sua percezione, perdessero per un momento la forza di restare insieme, e se ne andassero per conto proprio, bruciati da quel fuoco improvviso attizzato dentro di lei...o...fuori di lei...
- Lockport! - gridò - Kevin Lockport, cazzo, che diavolo fai!? -
Ogni segnale di lui era scomparso, il processo di trasferimento, interrotto.
- Sei pazzo? Vuoi ammazzarti o cosa? Lockport, maledizione! Vuoi distruggere la tua stessa mente?-
Nessuna risposta. Lentamente i comandi del menù principale tornarono visibili, Lethia recuperò il controllo della connessione a zeus, ma dell’impronta di Kevin Lockport non c’era traccia.
Con calma, riemerse dal sistema, e riaprì gli occhi sul suo divano.
Il supporto SK inserito nel deck si era letteralmente fuso.

Please Accedi to join the conversation.

More
25 Lug 2007 20:30 #772 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Lo sapevo fin dall'inizio...
La Signora Ballard aveva ragione!
E' stato il Diavolo che si è intrufolato nel suo letto a fondergli il deck!
:D

(Bel racconto davvero!)

Quando arriva la parte non-cyberpunk?
E' quella col Demonio, vero?
;)

Lorenzo

Please Accedi to join the conversation.

More
26 Lug 2007 19:48 #774 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
No...è quella con Dewy!!! Lui è la persona meno cyberpunk che ci sia...e, appunto...ecco qua...
Grazie dei commenti, Caronte... :-*

Capitolo 5

Il telefono squillò nel cuore della notte, vicino alla testa di Abrham Hollis, e dall’orecchio rimbalzò nel petto. Il telefono era un suono che da quattro anni ormai gli faceva paura: non poteva non farne, quando si ha una persona cara sospesa a metà tra la morte e la vita.
Secondo squillo... - la mano era già sulla cornetta - ...terzo squillo...
- Abrham Hollis, chi parla? -
La voce della dottoressa Lynch gli scese fino all’altezza del cuore, che accelerò il suo battito e gli compresse il torace.
- Deve venire subito, signor Hollis. Suo nipote... -
Mentre la donna parlava, la testa di Abrham si andava svuotando, e un fischio la attraversava da lato a lato, passando per le orecchie. Ora lo avrebbe detto: avrebbe detto quel fatidico “Mi dispiace, non c'è più nulla da fare”...lo attendeva ad ogni puntino di sospensione, quasi che l’attesa fosse più dolorosa della notizia.
Ma la notizia non venne.
- ...si tratta di un’attività encefalica irregolare che tuttavia... -
Abrham riprese il discorso in quel punto: le mani si serrarono entrambe alla cornetta, quasi a sorreggersi ad un appiglio invisibile
- Non voglio alimentare speranze, signor Hollis...ma la probabilità che Dewy si svegli non è da scartare -

Temeva di sognare.
L’ovattamento della notte gli abbracciava la testa.
Temeva che non fosse vero.
Non credeva che la realtà, tutto d’un tratto, potesse apparirgli così simile all’illusione.
Cercò di richiamare tutti i sensi  e di percepire le funzioni del suo corpo.
“Sono qui. Sono su un taxi. Sento la sintopelle del sedile sotto le mie dita. Vedo la strada. Sono le cinque del mattino, e tra poco più di un’ora sorgerà l’alba. Non sto dormendo”
Scese davanti all’ingresso della clinica, consegnò al tassista le ultime banconote sdrucite che aveva in tasca, si mise a correre, per quanto il suo fiato permetteva.
"La probabilità che si svegli non è da scartare"
Poteva essere vero?
La ferma certezza che lo aveva accompagnato per quattro anni sembrava essersi sgretolata pezzo per pezzo, come l’intonaco di un vecchio muro: ora c’era solo angoscia, angoscia che non fosse reale, che non fosse possibile proprio nel momento in cui qualcuno aveva alimentato quella speranza.
- Signore, dove corre? -
L’infermiera di turno lo fermò. La reception, a quell’ora, era abbandonata. Non c’era quasi nessuno in quella piccola, linda clinica, dove la gente cercava di sopravvivere a costi accessibili.
- Dewy Hollis, al terzo piano. Mi aspetta la dottoressa Lynch...mi hanno fatto chiamare... -
La donna, una paffuta signora che la vita aveva consumato in fretta, screpolò il volto in un tirato sorriso.
- Ah, è lei - ridistese le labbra, quasi che il suo viso di ragazza invecchiata non potesse sopportare la serenità - Si calmi e beva un bicchier d’acqua. Non la faranno neppure entrare, con quella faccia! La psiche di un paziente appena uscito da un come così lungo è vulnerabile, non lo sa? -
- Mi...mi sta dicendo che è sveglio? -
- Eccome. Sveglio e cosciente. Per fortuna, a volte anche qui ci sono le belle notizie! -
L' infermiera lo accompagnò fino all’ingresso del reparto: lui entrò nel corridoio come un fantasma, le camere dei degenti erano buie, le lucine variopinte dei sistemi di monitoraggio sembravano stelline intermittenti.
Dalla stanza di Dewy uscì un uomo in camice, portava via un carrello compero da un telo sterile, lo vide, incrociò il suo sguardo, gli fece cenno di entrare. La dottoressa Lynch era in piedi vicino al letto, di spalle. Udì i suoi passi e si voltò.
- Venga qui, Abrham... -
Alcuni medici si affaccendavano nella stanza, e generavano un brusio confuso scambiandosi compiti e commenti
Lo sguardo di Abrham cercò il viso del ragazzo disteso nel letto: la sua mano, con le dita lunghe e sottili, immobili da tutto quel tempo, ora stava appoggiata all’altezza dello stomaco, e un cavo collegato al polso rimandava ad un macchinario il ritmo del battito cardiaco; i suoi occhi erano limpidi e presenti. Non li ricordava così verdi.
- Zio Abrahm... - mormorò, con un fil di voce - ...ma che mi è successo? -
L'uomo scoppiò a piangere.

La dottoressa Lynch pensava che Dewy Hollis fosse il paziente più interessante di cui si fosse mai occupata, e non solo per l'eccezionalità del suo caso. Qualsiasi cosa dicesse o facesse, era come circondato da un fascino tutto suo, di cui non era nemmeno consapevole, e che riusciva inesorabilmente a catturare l’attenzione di chi gli stava attorno.
I suoi lineamenti, presi nella loro singolarità, presentavano vistose sproporzioni, che tuttavia sembravano studiate per garantire un effetto d’insieme: aveva occhi decisamente troppo grandi in rapporto alla dimensione del viso, e i denti davanti erano troppo sporgenti, tuttavia quando rideva i primi si strizzavano deliziosamente e i secondi rendevano il suo sorriso largo e luminoso. La sua espressione, sempre così schiva e senza pretese, emanava una spontanea e innocente suggestività. Non lo si sarebbe detto un ragazzo di vent’anni: in qualche modo, era come se anche la sua maturazione fisica si fosse fermata nel punto stesso in cui si era interrotta la sua vita: ma quel ritardo nella sua crescita intellettiva e biologica, sembrava anche l’unico strascico che quello strano paziente si portava dietro da quattro anni di coma profondo. La sua straordinaria ripresa costituiva una vera e propria anomalia dal punto di vista medico: non aveva impiegato che poche settimane a recuperare tutte le proprie funzioni, aveva ripreso subito possesso dell’uso del linguaggio, aveva ricordi chiari e consapevoli fino a non meno di un mese prima dell’incidente; riusciva a coordinare fluidamente i propri movimenti e ancora meglio i propri pensieri. Non c’era traccia di turbe psichiche o di danni neurologici: il personale aveva dovuto occuparsi principalmente della riabilitazione muscolare, ma, per quanto ancora avesse qualche difficoltà a rimanere alzato per tempi lunghi, in soli due mesi sembrava essere tornato in ottima salute.
“Sono caduto in una pausa del tempo” aveva detto lui, con il suo colorito modo di parlare. E, finita la pausa, il tempo aveva ricominciato a scorrere all’improvviso, senza apparenti ragioni, riprendendo il suo cammino dal punto esatto in cui si era interrotto.
Quando lasciò l'ospedale con le proprie gambe, e se ne tornò a casa in autobus, qualcuno ancora stentava a crederci...

Please Accedi to join the conversation.

More
27 Lug 2007 15:12 #778 by Cole Cash
Cole Cash replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
bene bene...
veramente ottimo

lo sai vero che questo tuo racconto, se lo termini, andrà sul nostro libro vero????? ;-)


Un giorno senza rischio è non vissuto


Please Accedi to join the conversation.

More
27 Lug 2007 17:41 #779 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
libro?? Quale?  :o
Cmq Gracccie!  :D

Please Accedi to join the conversation.

More
30 Lug 2007 08:05 #788 by Cole Cash
Cole Cash replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
stiamo faceno ul libro che contiene i racconti cyberpunk che sono stati postati qui e su altri forum... e mi sembrava doveroso chiederti se potevamo inserire anche il tuo di racconto


Un giorno senza rischio è non vissuto


Please Accedi to join the conversation.

More
30 Lug 2007 11:46 #789 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Bellissima iniziativa, Cole!

...Grandi!!!


Caronte

Please Accedi to join the conversation.

More
31 Lug 2007 09:25 #795 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
sob...mi piacerebbe molto ma questa storia è ancora in alto mare... :-[

Please Accedi to join the conversation.

More
01 Ago 2007 12:39 #797 by Pauline
Pauline replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Già ...Barbarella sei sempre la solita...ha i suoi tempi l'artista!  ;)

Però...considerando che sarà pure per beneficienza il libro..potresti chissà...dare un accelerata al racconto ...tanto fino a fine settembre hai tempo!!!

E ... Caronte guarda che sono ben accetti anche altri racconti...insomma...in questo sito non scrive più nessuno tranne Barbara!  ???

Please Accedi to join the conversation.

More
01 Ago 2007 17:24 #798 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Uff... Pauline!

Ci ho tentato ben 2 volte (ok, ok... 2 volte non è "tantissime volte"...)
Ma ho anch'io tempi di stesura veramente, VERAMENTE, lunghi...

E finisco per lasciare tutto a metà!


Caronte

Please Accedi to join the conversation.

More
02 Ago 2007 09:55 #800 by Pauline
Pauline replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe

Caronte wrote: Uff... Pauline!

Ci ho tentato ben 2 volte (ok, ok... 2 volte non è "tantissime volte"...)
Ma ho anch'io tempi di stesura veramente, VERAMENTE, lunghi...

E finisco per lasciare tutto a metà!


Mai dire mai!  ;)

Please Accedi to join the conversation.

More
02 Ago 2007 11:36 #802 by Caronte
Caronte replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Infatti non dico MAI...  ;)
Anzi...

Caronte

Please Accedi to join the conversation.

More
03 Ago 2007 10:44 #805 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Beh, ragazzi...io intanto posto il sesto cap...leggete e commentata!!!!

Capitolo 6

Lethia non pensava, quando aveva accettato l'incarico, che il suo ingaggio per la Omega prevedesse anche una trasferta a Reole, e tanto meno in un sobborgo come quello. Detestava le grosse metropoli industriali, le ricordavano il luogo in cui era cresciuta. Da quando il suo potere le aveva aperto le porte della carriera, era sempre vissuta nella capitale e provava una sorta di aristocratico fastidio per quelle città che non avevano nemmeno un centro storico ed erano state costruite a tavolino per ospitare fabbriche, aziende e centri commerciali.
Ma il caso di Kevin Lockport aveva inferto un brutto colpo al suo orgoglio, e il desiderio di rivlasa aveva vinto le sue reticenze.
Da quando si era dissolto davanti a lei per non farsi catturare, non era riuscita a togliersi dalla testa l'idea che quella faccenda fosse finita in modo troppo semplice. Uno di quello stampo, era il classico tipo che aveva in serbo un asso nella manica.
Così, quando Adrianov l'aveva fatta chiamare d'urgenza e le aveva esposto l'accaduto, non si era stupita.
Dopo oltre due mesi di tranquillità, gli esperti della Omega avevano rilevato l'intrusione, nel loro sistema, di un altro scissista, i cui paremetri erano stranamente simili a quelli di Lockport. Simili, ma non identici, il che escludeva che si trattasse di lui, ma lasciava ipotizzare che avesse un complice, da qualche parte: magari un parente di cui era riuscito a nascondere l'esitenza.
Lethia aveva preso tutti i dati necessari e si era rimessa subito al lavoro.
Per molti giorni non si era staccata un attimo da Zeus, e si era resa conto di trovarsi di fronte ad un fenomeno quantomai strano: la presenza che talvolta si affacciava negli archivi riservati della Omega, per quanto fosse certamente di uno scissita e per molti aspetti potesse ricordare Lockport, non sembrava trovarsi lì di sua volontà, né compiva mai alcuna azione lesiva nei confronti del sistema dell'azienza. Sembrava piuttosto capitravi per errore, e per pochi istanti, come un osservatore passivo e smarrito, che gli ricordava un po' le tante coscienze disperse nella rete che le era capitato di recuperare.
Inoltre, l'intruso non sembrava aver innalzato particolari difese: se avesse compiuto anche una sola azione, o avesse allungato  di qualche secondo la sua permanenza, non sarebbe stato difficile immobilizzarlo e visualizzare la sua proiezione virtuale. Ma le sue visite erano più brevi d'un intermittenza, e le sue intezioni impossibili da prevedere.
L'unica cosa che Lethia era riuscita a fare, in settimane di estenuante lavoro, era stato circoscrivere la presunta zona da cui l'individuo operava: l'ex area portuale di Reole.
Era stato allora che Adrinov l'aveva spedita lì, nello sperduto sobborgo di Seaside Corner: nome poetico per un luogo assai meno ameno!
"Beh, qua non ci saranno problemi di parcheggio" pensò Lethia, mentre guidava per le strade spopolate "questo quartiere sembra il paese dei morti!"
La giornata era limpida e il sole alto: aveva impiegato quasi un'ora, con la sopraelevata, a percorrere il tragitto che separava l'aeroporto di Reole da Seaside Corner, ed aveva notato il flusso di traffico che si muoveva nella direzione opposta. La scarsa densità di popolazione, per quanto deprimente, le facilitava il lavoro: probabilmente quello era una specie di paese-dormitorio, dove i pendolari potevano affittare case a prezzi ragionevoli, e, se era fortunata, la persona che cercava non era tra questi, visto e considerato che aveva registrato la maggior parte delle sue presenze nelle ore diurne.
Si diresse verso quello che le sembrava il luogo più vivo della zona: il punto dove sorgevano due grossi grattacieli gemelli, che spiaccavano sul piattume delle case popolari.
Accostò lungo il bordo della strada, ai piedi di una delle due costruzioni, quando, all'improvviso, qualcosa di pesante si schianò sul suo parabrezza, incrinandolo pericolosamente.
"Cristo!!!" gridò lei, saltando fuori dalla vettura con foga "Che è stato?"
Sul cruscotto, anch'esso ammaccato, vide una grossa spatola per vetri, che aveva lasciato una larga chiazza di sapone e acqua sporca sulla carrozzeria. Lethia comprese di cosa si trattava: alzò gli occhi e infatti vide, sospeso all'altezza del terzo piano, il carrello scorrevole dell'impresa delle pulizie.
"Razza di cretini!" strillò "Potevate ammazzarmi!"
Era veramente furente: non solo si trovava in un paese abbandonato da dio, ma adesso doveva pure rendere conto del danno all'autonoleggio, scomodare l'assicurazione, eccetera eccetera...Come se cercare uno sconosciuto in mezzo a una città di sconosciuti fosse un'impresa da niente!
"Scendete giù, deficienti!"
Il carrello scese, e, man mano che si avvicinava, Lethia riusciva a sentire sempre meglio le voci dei due operai.
"E' la terza volta, cazzo! LA TERZA VOLTA!"
Una voce rude stava inveendo contro qualcuno che non rispondeva.
"Stavolta basta! Non voglio finire nei guai! Ti ho fatto un favore, ma non ne voglio farne le spese!"
Il carrello arrivò al piano terra, e fu allora che la donna riuscì a distinguere anche l'altra voce, e a vedere a chi appartenenva.
"Mi...mi dispiace! Non mi succederà più...io cercherò di..."
Il ragazzo che aveva parlato si teneva la testa tra le mani, e non aveva l'aria di stare bene: era pallido e stava tremando in modo visibile. Lethia lasciò per un attimo da parte la rabbia e si avvicinò a loro, mentre il più anziano dei due - a quanto pareva, il datore di lavoro - continuava ad urlare.
"Che cazzo cercerai di fare?! Tu non sei in condizioni di lavorare, porco cane! Se solo lo viene a sapere l'ispettorato del lavoro...."
"Che cosa dovrebbe venire a sapere, prego?"
La donna lo fissava con occhi taglienti: alta, bella, con un elegante tallieur scuro, emanava una certa autorità, che lasciò per un attimo l'uomo a bocca aperta.
"Niente..." la voce del ragazzo si intromise timida "niente, signorina..."
Alzò lo sguardo e sforzò un sorriso.
"Mi perdoni, sono mortificato...è colpa mia..."
Cercò di scendere dal carrello, ma una fitta di dolore gli attraversò il cranio: si tenne la testa con entrambe le mani e si lasciò cadere con la schiena contro il muro, emettendo un gemito.
Lethia non perse tempo: lo sorresse, lo aiutò a scivolare lungo la parete e a stendersi per terra e, china su di lui, gli sostenne il capo con una mano.
"Non stia lì impalato, lei" intimò all'altro individuo "Mi aiuti. Vada alla mia macchina e prenda la mia valigetta"
L'uomo obbedì, e la donna estrasse dalla ventriquattrore una scatola di metallo piena di strani congegni elettronici.
"Sei portatore di un impianto neurale, vero?" domandò, rivolta al ragazzo.
"Si..." ammise lui, a mezza voce.
La donna scelse un piccolo cip, e, con dimestichezza, glielo posizionò alla base della nuca, fissandolo con un gel adesivo.
"Dovrebbe attenuare il fastidio, ma è meglio se resti qualche minuto immobile"
"Ehi" si intromise l'uomo "Si può sapere che diavolo succede?"
Lethia appoggiò delicatamente la testa del ragazzo per terra e si alzò, fronteggiando l'interlocutore.
"Succede che il suo collega ha un problema di cyber-brusio" spiegò, tecnica "ovvero soffre di un'interferenza tra il newralware e zeus. E' un problema di impainti di installazione recente o di qualità non alta. Se lei è, come sembra, il suo capo, dovrebbe saperlo. I portatori di impianti sono tutti registrati ed hanno una tessera apposita che ne descrive il tipo: è fondamentale esserne in possesso, in caso di incidenti sul lavoro..."
Gli lanciò un'occhiata allusiva, e con un cenno della testa ammiccò alla sua auto.
"Dunque...paga la ditta, vero?"
L'uomo azzardò una timida resistenza
"Veramente il responsabile dell'incidente è..."
"Signore, la prego, niente questioni. Lei fa lavorare in nero un ragazzo che ha un pezzo di metallo nel cervello, e neppure lo sa. Mi faccia il piacere..."
Il poveretto incassò il colpo.

Please Accedi to join the conversation.

More
28 Ott 2007 15:06 #1048 by Dex
Dex replied the topic: Re: "La seconda vita" - Romanzo in corso, un po' cyber un po' no...spe
Sigh...nemmeno un commentino??  :-[
Vabbè, posto anche il sette, va!
Paoletta...io aspetto il tuo parere!  ;)

Capitolo 7

"E così ti chiami Dewy..."
"Si...e lei?"
"Io sono Lethia. Ti senti meglio, adesso?"
"Molto meglio. Non so proprio come ringraziarla...Io le ho combinato un guaio enorme e lei invece mi difende..."
In verità, Lethia non capiva cosa l'avesse spinta a schierarsi dalla sua parte: forse gli aveva fatto tenerezza perché lo aveva visto star male, forse perché detestava lo sfruttamento, o forse semplicemente perché quello stranito ragazzo biondo era davvero l'individuo più grazioso che avesse mai visto. Aveva qualcosa nello sguardo e nel modo di parlare che trasmetteva una sensazione di profonda gradevolezza, e lei non era solita trovare piacevole la presenza altrui.
"Temo che mi licenzierà..." sospirò Dewy
"Non ne vedo il motivo. Ci sono molti modi per evitare quel tipo di interferenze: basta che tu vada da un buon tecnomedico..."
"Capisco..."
"Ma tu non ci sei andato. Perché...?"
Il ragazzo si guardò le ginocchia, con aria colpevole.
"Io non...non ho detto a mio zio che lavoro. Se lo sapesse, non me lo permetterebbe, e noi abbiamo bisogno di soldi. Quando avrò il primo stipendio, mi farò risolvere il problema..."
"Ma che razza di stupido...!" esclamò lei, con tono brusco "potevi caderci tu, da quel carrello, invece dello spazzolone!"
"Già..." sospirò lui.
Senza sapere perché, Lethia si sentì rimescolare lo stomaco. Avrebbe voluto che Dewy le rispondesse in qualche modo, magari dicendole di farsi gli affari propri: invece quella ammissione dimessa l'aveva spiazzata. Cosa aveva quello strano tipo per scatenare simili reazioni in lei? Era come se la persona che aveva di fronte avesse deciso di non innalzare alcuna barriera protettiva attorno a sé, e le si offrisse completamente vulnerabile, completamente inerme, senza provare alcuna paura.
"Senti un po'..." riprese con più dolcezza "perché hai quell'impianto nella testa?"
"E' un impianto di contenimento..." rispose lui "o almeno, così mi hanno spiegato in ospedale. E' servito a fermare l'emorragia che ho avuto al cervello. Mi hanno operato evitandomi la morte: poi ho dormito per quattro anni"
"Dormito...? Cioè sei stato in coma?"
Dewy fece un largo sorriso, che gli illuminò il volto.
"Si. Ma adesso sono qui, e sono vivo: non è fantastico?"
Lethia non aveva mai visto un uomo sorridere a quel modo. Era il sorriso di un ragazzino, ma aveva dentro la convinzione di un adulto. Per un attimo le parti le sembrarono rovesciate, e lei sentì di essere la più fragile fra i due. Desiderò poter protrarre ancora per un po' quella strana sensazione.
"Se vuoi ti accompagno a casa: sono sicura che ti gira ancora la testa"
"Lei è proprio gentile...!"
"Vuoi smettere di darmi del lei? Guarda che non sono tanto più vecchia di te!"
Dewy si fece rosso in viso e si affrettò a correggersi.
"No, no...che va a pensare? Solo che lei...emh...che tu sei così elegante che mi sento a disagio! Qui a Seaside corner siamo gente..." non trovò le parole e allargò la braccia, mostrando la salopette sdrucita "...gente così!"
Gente così...ripetè Lethia nella sua testa. Anche lei era stata tra la "gente così", un tempo.
Ma non aveva mai avuto quel sorriso.

Lethia entrò nell'officina Hollis con gli occhi spalancati per lo stupore:  varcare quella soglia era come tornare indietro di un secolo. I mobili di legno, le tapparelle manuali, le tende di stoffa alle finestre, le mattonelle decorate e i lampadari che sembravano usciti da un vecchio film!
“Noi facciamo gli antiquari” spiegò Dewy “Io sono solo restauratore, mio zio invece è capace di riprodurre qualsiasi cosa tu gli chieda!”
Abrahm si schermì, grattandosi la testa
“Beh, non proprio tutto...ma se Dewy mi avesse avvertito che portava ospiti, le avrei fatto trovare volentieri un thé servito in un set di tazze liberty!”
“E quale delle due cose è il pezzo d'antiquariato: le tazze liberty o il the?” scherzò Lethia, abituata alle buste solubili che con un vero the non avevano nulla a che fare.
Dewy spostò galantemente la sedia per lei.
“Entrambe, ovviamente...!” sorrise, e, da una credenza che avrebbe potuto trovarsi nella casetta di Biancaneve, tirò fuori una teiera col beccuccio, in metallo rosso brillante.
“Carina, vero? E' una delle poche riproduzioni che ho fatto io! Funziona anche il fischietto!” e le indicò col dito la piccola valvola a pressione “...e tu invece? Nella vita cosa fai?”
Appoggiò i gomiti sul tavolo e la testa tra le mani, come un bambino che si dispone ad ascoltare una favola: aveva dei modi così infantili! Non riusciva nemmeno a dargli un'età...eppure, era chiaro che non era più un adolescente. Per qualche attimo rimase ad osservarlo e non rispose alla domanda.
“Cosa faccio...?”
Socchiuse gli occhi, tormentandosi una ciocca di capelli.
“Non è semplice da spiegare. Diciamo che mi occupo di investigazioni in rete...”
“Ovvero, lavora nella Brain Watch?” si intromise Abrahm.
“No, opero nel privato: recuperi di coscienza, per lo più...”
“Cos'è un recupero di coscienza?”
“La spiegazione tecnica sarebbe complessa, signor Hollis. Da quel che mi chiede, immagino che lei non abbia mai fatto uso di realtà virtuali...”
“Per carità! A me piacciono le cose vere, non queste porcherie informatiche!”
Dewy ascoltava la conversazione attento e silenzioso.
“Quando un utente interagisce con una realtà virtuale in modo non corretto, come superando un certo limite di tempo o collegandosi in condizioni di salute non idonee, o, ancora, in caso di programmi difettosi, può andare incontro ad una serie di controindicazioni. Tra le più gravi vi è lo smarrimento in Zeus: in parole povere, è come se la coscienza perdesse la strada per ricollegarsi all'individuo, così la mente non è più in grado di dare il comando d'uscita dal sistema. Il mio compito è quello di ristabilire questo collegamento...”
Il fischio della teiera fece voltare la donna verso il fornello: quando i suoi occhi tornarono sugli interlocutori, incrociarono quelli del ragazzo, che erano fermi su di lei.
“E' un lavoro molto bello...” disse, con voce lenta e dolce “...perché, allora, il tuo sguardo è così triste?”

Lethia non riusciva a credere a quel che stava facendo.
Era come se un fiume in piena avesse rotto gli argini e adesso dilagasse feroce su una città arida, distruggendo tutto ma restituendo vita alla terra.
Cosa riusciva a fare quel ragazzo? Perché sembrava che le leggesse la mente e ne tirasse fuori i tarli, senza che lei riuscisse ad opporre resistenza?
Dewy Hollis le faceva paura: non riusciva a difendersi da lui.
Ma al tempo stesso lo sentiva indifeso.
Le sue parole si mettevano insieme da sole, quasi senza la sua volontà.
“Mio padre era un pastore protestante, mia madre una religiosa fanatica che lo aveva sposato più per il suo ruolo che per amore: se le cose fossero andate come nei loro sogni, adesso avrei dovuto essere una buona mamma e una buona moglie con tanti figli da crescere nell'insegnamento del vangelo. Ma la storia non si fa coi “se”. All'età di quattro anni mi regalarono una fiaba virtuale: fu la prima volta che entrai nel sistema. E fu da lì che cominciarono le “voci”. All'inizio erano come un brusio confuso...mi sembrò che il computer mi parlasse e la trovai una cosa divertente. Poi mi accorsi che non c'era nulla di cui divertirsi, perché le voci erano persone vive. Persone che parlavano, persone che piangevano, persone che bestemmiavano, che ridevano, che gridavano, che avevano paura...e tutte si riversavano nella mia testa, sempre più forti, tante da non poterle sostenere. Eppure io ero tremendamente attratta da loro: sentivo che mi cercavano, che mi chiedevano aiuto, che non potevo ignorarle. Nè i miei genitori né i medici compresero cosa mi succedesse: continuavo a ripetere parole non mie, a dire che dovevo salvare qualcuno, ad avere crisi di rabbia se mi impedivano di entrare in zeus. Mi diagnosticarono una forma di schizofrenia e fui messa in una casa di cura. Ma non fui io ad impazzire...fu mia madre. Si convinse che ero stata maledetta dal diavolo e non volle più vedermi. Passai in quel buco d'ospedale dieci anni della mia vita, finché uno psichiatra più lungimirante riuscì a comprendere come stessero le cose: la mia mente non era malata, tutt'altro: possedeva una capacità paranormale di entrare in contatto con le menti altrui attraverso la rete. Mi illusi che l'incubo fosse finito e che sarei tornata a casa...ma mia madre non voleva che una bambina baciata dal demonio vivesse sotto il suo stesso tetto. Mio padre diede il consenso ad una equipe di medici di portate avanti una serie di studi sulle mie facoltà. Chissà, forse era il suo modo di lasciarmi in mani sicure. O forse quello di liberarsi di me. Ma io non lo permisi. Scappai...mi rifugiai nello sprawl, e usai il mio potere per sopravvivere. Mi unii ad una banda di teppisti e truffatori e rimasi con loro fino a vent'anni, quando ci presero tutti e ci sbatterono in galera, con una condanna a dieci anni per crimini in rete, aggressione e tentato omicidio. Sarei ancora lì se la WePi non si fosse interessata al mio potere. Uscii di prigione grazie all'intercessione del dirigente, a condizione di un contratto vitalizio con l'agenzia. Non avevo nulla da perdere, solo tutto da guadagnare: sarei stata fuori da quel lurido carcere, avrei vissuto in una casa nella capitale, averei avuto soldi, prestigio. Sono con loro da sette anni, sono una dei loro migliori agenti: posso aiutare la gente e posso tradirla. Posso salvare coscienze diperse e posso incriminare giovani hacker disperati come un tempo sono stata io. Non sta a me scegliere. Io sono la ditta...”
Il ragazzo la fissava immobile.
Dalle tende traforate della piccola stanza da letto, la luce filtrava intagliando un motivo floreale sul terreno.
Quel posto era fermo, antico, calmo.
Il sole stava tramontando.
“Tu non sei la ditta. Non si può”
Dewy si alzò e aprì un cassetto, da cui estrasse due fermacarte di legno, perfettamente identici.
“Ti piacciono?” sorrise, tendendoglieli entrambi.
Lethia rimase sorpresa, ma prima che potesse aprire bocca, lui continuò.
“Sono un regalo per te! Uno è originale, ha un secolo di vita, l'altro l'ho fatto io...”
“Sei bravo, non saprei distinguere il vero dalla copia”
“Oh, io invece sì!”
Le prese le mani e glieli piazzò sui palmi: uno sul destro, uno sul sinistro.
“Guarda bene l'angolo in alto...uno dei due ha una lieve scalfitura, procurata chissà come e
chissà da chi, nei suoi oltre cent'anni di vita” con un dito, indicò il punto esatto “se avessi voluto, avrei potuto riprodurre anche quel graffio...anche quella piccolissima imperfezione. Ma avrei saputo distinguerli ugualmente. Perché la mia scalfitura non porta con sé l'evento che l'ha provocata...”
Pose le proprie mani al di sotto di quelle di lei, come se volesse sorreggerle, o forse scaldarle.
Guardò fuori dalla finestra, con aria assorta.
“Non si può riprodurre l'arte. Non si può riprodurre neppure un vecchio rottame. Noi che per mestiere facciamo riproduzioni, possiamo sentirlo meglio degli altri. Per quanto io possa essere bravo, metterò sempre qualcosa di mio in ciò che faccio. E non è né una cosa bella, né una cosa brutta. Semplicemente, è così...”
Riportò gli occhi su di lei e Lethia si sentì invadere da uno sguardo caldo, accogliente.
“Allo stesso modo, tu non puoi essere la ditta. Nè se lo volessi, né se non lo volessi. Perché qualunque cosa tu faccia, deva passare attraverso di te...”
Lasciò le sue mani e d'improvviso arrossì vistosamente.
“Nah, accidenti! Ora che ci penso questo discorso non è affatto incoraggiante, perché ti rovescia addosso un sacco di responsabilità...! Che disastro!”
Abbassò gli occhi e fece una faccia colpevole d'una ingenuità disarmante.
Lethia scoppiò a ridere di cuore: lo trovava veramente adorabile.
“Ma dai! Hai detto una cosa molto bella, invece: credi che niente sia sostituibile”
Alla frase di lei, Dewy fece di nuovo quel suo sorriso strano.
“Già. Nessuno è sostituibile!” esclamò.

Era sera, quando Lethia lasciò casa Hollis. Aveva passato la giornata più bizzarra della sua vita, e si sentiva dentro una strana leggerezza.
“Torna a trovarmi, per favore!” la pregò Dewy con assoluta spontaneità.
“Tornerò certamente...ma in quell'occasione voglio assicurarmi che tu ti sia preso cura della tua salute”
“Promesso. E scusa ancora per la macchina...”
“Un giorno me ne riprodurrai una d'epoca...”
Si guardarono a lungo in silenzio, poi lei risalì sulla vettura.

Please Accedi to join the conversation.

Joomla templates by a4joomla