Lettera di Dhila a Dan

Ciao Dan,
lo so… è da tempo che non ci sentiamo e non ti potrò mai biasimare se, dopo quello che è successo fra noi, tu non voglia rispondermi… ma ti prego, quanto meno, leggila questa mail.
Arriverò subito al punto Dan, sono nei guai, guai grossi questa volta. Lo so a cosa stai pensando, ti stai chiedendo il perché, con tutti quelli che conosco, proprio a te mi sono rivolto: il fatto è che, anche a distanza di anni, sei l’unica persona della quale mi posso fidare. Lo so, è una frase fatta.
Ho avuto per mano dei rapporti Dan, cifrati, che neanche mi interessava decifrare. Sai come va nel mio lavoro: memorizzi e non fai domande, porti il tutto a termine, scarichi e vieni pagato.
Ero a Bombay City quel giorno, nel palazzo dei congressi e il mio contatto l’avrei dovuto incontrare proprio li. Non feci domande, quel negro neanche si presentò – solo dopo seppi che il suo nome era Timothy - e mise subito lo spinotto nella mia nuca. Caricai, la transazione fu perfetta ma ci fu una soffiata.
Entrarono in quattro, armati fino ai denti e aprirono il fuoco. L’inferno Dan, fu l’inferno.
Morirono tutti, feci appena in tempo a gettarmi dietro un divano e fui colpita di striscio all’addome. Persi i sensi. Quando mi ripresi intorno a me solo cadaveri, di Timothy però: neanche l’ombra.
Controllai sul terminale che mi avevano collegato, la transazione dei dati andò a buon fine, la cifratura no. Avevo tutto nella mia testa e potevo leggere il tutto in chiaro e senza problemi.
Roba grossa Dan, si leggevano i nomi di quelle corporazioni che si sentono alla televisione: Orbital Air, ESA e Petrochem in prima fila. In più: il codice di una cassetta di sicurezza allo spazioporto, un codice di transazione bancaria di un milione di eurodollari segnati come “anticipo” e un nome: Gregor Trobash.
Ho paura Dan, ho paura che qualche d’uno sia ripassato alle camere dei congressi e abbia visto che all’appello manchi qualche d’uno di scomodo. Ho paura che mi stiano cercando.
Aiutami.